Di Gianluca Virgillito (redattore del Quotidiano dei Contribuenti)
Lo sport riparte, si è deciso così. Riparte in particolare il calcio, la disciplina più “ricca” e più amata dalla popolazione del mondo. Gli interessi che ruotano attorno al calcio spingono verso la riapertura degli stadi, con un protocollo sanitario specifico da seguire minuziosamente per ogni società, chiamata a chiudere la stagione, ma a farlo senza i propri sostenitori al seguito.
Proprio così, Covid-19 vuole che per ragioni di sicurezza e per la ragionevole volontà di non rivedere un picco nella curva che racconta i contagi da Coronavirus, gli stadi non saranno riaperti a coloro i quali sarebbero i destinatari della struttura stessa: i tifosi delle squadre che scendono sul rettangolo verde. Una beffa, e un tema di critica feroce in queste settimane. Inutile nasconderlo. Messa da parte l’amarezza, e osservata la necessità anche e soprattutto economica di ricominciare per non rinunciare a fondi provenienti da accordi sui diritti tanto per fare un esempio, è curioso il modo attraverso il quale si è deciso di ripartire in alcuni stadi. Senza voler citare casi specifici per poi scordarne altri, abbiamo assistito ad una applicazione da consolle al silenzio assordante degli spalti. Il tifo riprodotto per non demoralizzare le squadre, dare una parvenza di normalità laddove la normalità s’è persa.
Il tentativo può sembrare forzato, il gioco però funziona ed emoziona: la necessità di tornare alla normalità si traduce nell’adozione di uno strumento comune e caro a tutti gli amanti del calcio, l’effetto consolle che ci proietta tutti dentro lo stadio pur lasciandoci mestamente fuori. L’appello: alzate il volume del tifo allo stadio, non sarà vano! La psiche umana gioca con gli uomini, li mette sotto scacco per via delle contingenze della pandemia e gli offre un riparo che ci emoziona tutti. Torneremo a tifare accanto ai nostri amici tifosi, intanto brandiamo il joystick e vogliamoci tanto bene, supportando i nostri beniamini.