I giorni del ricordo in tempi di lockdown, con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che avrebbero affrontato il blocco delle attività per via del Covid-19 “continuando a lavorare”, loro che non prendevano mai ferie. La mafia, tutt’altro che debellata, pronta ad approfittare dell’emergenza, ma non si ferma Cosa nostra e nemmeno la procura di Palermo lo fa. La necessità di affiancare un’opera di risanamento morale al lavoro di inquirenti e investigatori. Lo dice all’AGI il capo della Dda del capoluogo siciliano, Francesco Lo Voi, che crede nelle opportunità offerte da una memoria priva di retorica.
Il lockdown costringe a un 23 maggio diverso, senza cerimonie e anche senza passerelle: sarà un’occasione per viverlo come riflessione? E quali sono le sue riflessioni? “E’ un 23 maggio diverso, sì, ma solo nelle forme, non nella sostanza della memoria e del ricordo dei magistrati e delle loro scorte, uccisi dalla mafia. Fortunatamente la Fondazione Falcone ha trovato il modo – in collaborazione anche con altri enti e istituzioni – di perpetuare il coinvolgimento di tanti italiani, soprattutto dei giovani studenti, nella più importante delle manifestazioni: quella della partecipazione, che forse senza cerimonie (e magari anche senza passerelle) sarà anche più significativa”.
Francesco Lo Voi conobbe e lavorò con i magistrati uccisi nelle stragi di Capaci e via D’Amelio: come l’avrebbero vissuto, il lockdown? “Me lo sono chiesto spesso, durante queste ultime settimane, con quale atteggiamento Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino lo avrebbero affrontato: di sicuro avrebbero trovato il modo di ironizzare anche su questo, ma continuando a lavorare, specie loro, cui non ho mai visto prendere un giorno di ferie”.
E’ tutto chiaro sulle stragi e, più in generale, su quello scorcio di inizio anni ’90? “Per i ruoli ricoperti non ho mai svolto direttamente indagini sulle stragi del 1992 (e del 1993). Di sicuro però la procura di Palermo ha offerto agli altri uffici titolari delle indagini importantissimi elementi conoscitivi e di contesto, che hanno consentito di ricostruire quanto meno gli aspetti esecutivi delle stragi e di pervenire a numerose condanne. Questo è già un risultato importante, considerato che per molte altre stragi non si ha ancora definitiva certezza su tutti gli esecutori materiali. Per il resto, com’é noto, le indagini non si fermano, ma su questo non è mio compito dire altro”.
La società di oggi appare molto diversa da quella che, negli anni ’80, lasciò da solo chi combatteva la mafia e preferì mettere la testa sotto la sabbia di fronte alla violenza e soprattutto all’arroganza mafiosa. Ora c’è maggiore consapevolezza ma si continua molto a delegare a magistratura e forze dell’ordine. “Senza dubbio, gran parte della società – in tutte le sue componenti – è molto cambiata rispetto a quegli anni. Ma la mafia, anzi le mafie, non sono ancora debellate. Il percorso – per Lo Voi – è ancora lungo e richiede il coinvolgimento dell’intera società e un’azione di recupero culturale, sociale e politico di ampie fasce del territorio nazionale. La diffusione delle mafie verso il Nord Italia è stata ormai ampiamente dimostrata e questo è un fenomeno preoccupante. Ma non tutto può essere risolto con la sola repressione, affidata a magistratura e forze dell’ordine. Occorre che tutti siano consapevoli dei rischi e che agiscano per contrastarli, anzi per prevenirli”.
Come dimostrano le vostre ultime operazioni, manca sempre qualcosa per chiudere la partita con Cosa nostra: “Sì, la sola repressione non basta, nonostante il formidabile impianto normativo messo in campo in questi ultimi decenni e la straordinaria abilità e preparazione delle forze di polizia, che tutto il mondo ci invidia. Serve un’opera di risanamento sociale, che parta dalle scuole e prosegua nell’accompagnamento al lavoro; serve far capire a tutti che collaborare con i mafiosi è controproducente per se stessi e per l’intera società. La mafia non porta lavoro, ma sfrutta e soffoca il lavoro dei cittadini onesti; né porta denaro, se non a se stessa, ma depreda l’economia e le fonti di reddito oneste”.
Ma lo Stato, la politica e l’economia hanno prodotto sufficienti anticorpi o c’è ancora troppa timidezza e commistione di interessi? “Gli strumenti ci sono, sia legislativi che investigativi e operativi. Certo, possono sempre essere migliorati sulla base dell’esperienza quotidiana. Ma sono ancora in tanti a farsi sedurre dalle lusinghe del guadagno facile, sia che provenga dalla mafia, sia che derivi da forme di corruzione ancora molto diffuse. E bisogna fare attenzione alle cosiddette ‘facce pulite’, che sempre più la mafia utilizza per le proprie operazioni, sia direttamente illecite che per infiltrarsi in vari settori della società e dell’amministrazione”.
L’attenzione è anche rivolta, in questa fase agli effetti del Covid-19. Con il rischio che la mafia possa trarre beneficio dal proprio radicamento nel territorio dando una risposta tutta sua al disagio sociale ed economico. “Purtroppo non siamo ancora usciti dalla fase emergenziale e quindi – conclude il procuratore di Palermo – è ancora presto per fare valutazioni che si fondino su dati concreti. Gli allarmi lanciati su questi aspetti sono tuttavia fondati sull’osservazione storica del modus operandi delle mafie; e, in tema di mafia, sempre meglio un allarme in più che uno in meno. Le prossime settimane e i prossimi mesi ci diranno più precisamente quali conseguenze avrà la grave crisi economica che stiamo attraversando e come le mafie tenteranno di cogliere le opportunità che la crisi offre. Una cosa però è certa: se la mafia non si ferma, sicuramente non ci fermiamo neanche noi”.
Vedi: "La mafia non si ferma, lo Stato curi il disagio sociale", avverte Lo Voi
Fonte: cronaca agi