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9/11: in Usa, l’ansia dei 35 mila “bambini dell’11 settembre”

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La storia dell’11 settembre di Jessica Petrow-Cohen comincia così: aveva appena compiuto cinque anni ed era al suo terzo giorno d’asilo in una scuola pubblica a downtown Manhattan. Dalla finestra della sua aula vide crollare la prima torre del World Trade Center. Il cielo divenne nero e arancio. Il corridoio dell’edificio che ospitava l’asilo si affollò ben presto di genitori spaventati e desiderosi di portare via i loro bambini. Ma nel frattempo le maestre avevano portato i piccoli sul tetto. “L’aria – ha raccontato Petrow-Cohen in una lunga testimonianza sul Washington Post, ventidue anni dopo gli attacchi alle Torri gemelle – sapeva di cenere e di plastica bruciata. Che cosa è successo?, chiesi”. La sua storia è quella di molti newyorkesi, che negli anni hanno guardato il cielo con preoccupazione ogni volta il rombo di un aereo in fase di atterraggio verso il Jfk o l’aeroporto LaGuardia si faceva troppo vicino e in modo sinistro. Ma è anche quella di chi vive temendo di aver avvelenato i propri polmoni, respirando le tossine prodotte dallo scioglimento delle strutture che tenevano in piedi i due grattacieli. E’ la doppia paura dei “bambini dell’11 Settembre”: quella di un nuovo attacco esterno e di un attacco “interno”, dentro il proprio corpo. Il terrorismo e il cancro.
Secondo il World Trade Center Health Program, programma federale che si occupa di monitorare le conseguenze sulla salute dell’attacco dell’11 Settembre, sono più di 71 mila le persone a cui sono state diagnosticate malattie della pelle, tumori e problemi mentali, proprio a causa della lunga esposizione a polvere, fumo, detriti e per il trauma degli attentati. “Due di quelle persone – scrive Jessica – sono le mie mamme”. “Le mie due mamme – continua – amavano la loro casa di downtown Manhattan, in una zona non piccola occupata da una comunità omosessuale, una rarità nei primi anni duemila. Mentre molti newyorkesi decisero di lasciare la città dopo gli attacchi, le mie mamme decisero di restare. Vivevamo a sud di Houston Street, un zona che viene chiamata ‘l’area del disastro’”. Sedici anni dopo l’11 Settembre, a una delle due donne venne diagnosticato un cancro ovarico, una delle condizioni, secondo gli studi, legati alle tossine respirate dopo l’attentato. Due anni dopo, nel 2019, anche l’altra mamma ricevette una diagnosi tremenda: cancro alla testa e al collo. Anche in questo caso rientrava nelle statistiche del post-attentato. Due madri con il cancro. La prima sta guarendo, la seconda è morta quest’estate. “Mia sorella e io – ammette Petrow-Cohen – così come molti altri giovani, rischiamo il cancro, problemi respiratori o malattie intestinali”. Negli anni si sono moltiplicati i programmi di assistenza sanitaria ma anche di richiesta danni.

Studi legali promettono risarcimenti milionari, le tv locali sono affollate di spot, i treni della metro sono tappezzati di annunci che invitano a fare ricorso per “ottenere quello che vi spetta”, ma è chiaro che nessuno vorrebbe trovarsi nelle condizioni di chiedere soldi. Secondo le statistiche, l’87 per cento delle persone che hanno sviluppato patologie legate all’11 Settembre sono uomini e sono tutti adulti. Ma sarebbero circa 35 mila i bambini che nel 2001 vennero esposti alle tossine sprigionate dopo gli attacchi. L’impatto su di loro, secondo l’autrice della testimonianza sul Post, finora è stato poco studiato. Secondo una ricerca pubblicata un anno dopo gli attentati, tutti quelli che avevano sperimentato una perdita avevano il doppio delle possibilità degli altri di sviluppare ansia, depressione o disordine del comportamento post-traumatico. Ma cosa si dice di chi potrebbe sviluppare conseguenze vent’anni dopo, e dopo averle incorporate per tutta l’adolescenza? A dicembre dell’anno scorso è stato avviato uno studio per individuare gli effetti sulle persone di ventuno anni o più giovani. L’obiettivo è stilare una statistica sulle possibili conseguenze mentali e fisiche in una fascia d’età finora poco considerata, ma per la quale il trauma, ventidue anni dopo, non è stato elaborato. Quasi certamente non a livello mentale, ma per alcuni, anche a livello fisico. (AGI)
NWY/BIA