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85 anni fa il primo Mondiale vinto dall'Italia (con il contributo del Duce)

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Articolo aggiornato alle 21:30 del 9 giugno

Domani sarà una data storica per la Nazionale italiana di calcio: il 10 giugno 1934 infatti gli azzurri guidati dal commissario tecnico Vittorio Pozzo si laureano campioni del mondo nell’edizione disputata in casa. Ottantacinque anni fa l’Italia alzò la leggendaria Coppa Rimet dopo aver superato in finale la Cecoslovacchia con il punteggio di 2-1, con il gol decisivo di Angelo Schiavio nel corso del primo tempo supplementare.

Una vittoria mondiale alla quale avrebbe contribuito in maniera decisiva Benito Mussolini, alla luce di alcune dubbie decisioni arbitrali nei due durissimi incontri con la Spagna, i cui direttori di gara, il belga Baert e lo svizzero Mercet, furono contestati dalle rispettive federazioni una volta tornati in patria.

Quella del 1934 era la seconda edizione dei Mondiali. La prima si era svolta nel 1930 in Uruguay e l’aveva vinta la squadra di casa: l’Italia non aveva partecipato perché la trasferta in Sud America costava troppo e in più Mussolini non credeva che il calcio potesse portare consensi politici.

Non appena s’accorse che l’Italia fascista cominciava ad appassionarsi alle imprese dei calciatori, il Duce si avvicinò al pallone e decise che l’Italia avrebbe ospitato la seconda edizione dei Mondiali. Il torneo venne giocato da sedici squadre: dodici europee, tre americane e una africana. C’erano Argentina e Brasile, ma presentarono squadre di secondo livello, senza ambizioni.

Non parteciparono gli inglesi, che continuavano a ritenere di avere il diritto esclusivo di organizzare la kermesse in quanto inventori del gioco del calcio. Anche i campioni in carica dell’Uruguay non si presentarono, restituendo lo sgarbo subìto quattro anni prima. La Nazionale italiana era guidata da Vittorio Pozzo, un torinese doc che nel 1929 aveva lasciato l’impiego alla Pirelli per fare l’allenatore a tempo pieno.

Convinto sostenitore del regime fascista, sul campo Pozzo era un ottimo tattico: era considerato uno dei padri del cosiddetto “metodo”, uno schieramento con due terzini fissi in difesa, un centrale posto davanti alla difesa che faceva da regista (il cosiddetto “centromediano metodista”), due mediani, due mezze ali e tre attaccanti.

Un 2-3-2-3, come diremmo oggi. Anche senza Uruguay e Inghilterra e con un Brasile dimezzato, la concorrenza europea faceva paura. In particolare Pozzo temeva Spagna e Austria: la Spagna aveva come uomo simbolo il portiere Zamora, l’Austria l’attaccante Sindelar, detto “cartavelina” per il suo fisico esile e scattante.

Bisognava neutralizzare questi due avversari e in molti ritengono che scese in campo direttamente Benito Mussolini, con pressioni e blandizie nei confronti degli arbitri. 

Il Mondiale partì alla grande: 7-1 agli Stati Uniti nella prima partita giocata a Roma. Al secondo turno l’Italia si trovò di fronte la Spagna. Zamora dimostrò di essere il portiere più bravo del mondo e l’Italia sarebbe stata probabilmente eliminata se l’arbitro belga non le avesse dato una mano.

Con la Spagna in vantaggio per 1-0, Baert finse di non vedere una carica di Meazza ai danni proprio di Zamora, che venne sbattuto a terra e, cadendo, perse il pallone. Ferrari siglò il pareggio e la partita si ripetè il giorno dopo. Gli episodi controversi non furono tutti ai danni dell’Italia (ci fu un rigore reclamato per un fallo di Maguerza) ma il gol annullato a Lafuente, quando la partita si era ormai fatta violenta, fa ancora discutere. 

Il replay del match contro la Spagna fu segnato dall’assenza di Zamora, le cui ragioni sono ancora oggi un mistero. C’è chi sostiene che, ammirato dalla bravura di ‘El Divino’, il Duce avesse mandato due persone negli spogliatoi della Spagna a “suggerire” al portiere di non scendere in campo. Sta di fatto che il portiere non si presentò alla partita, lamentando uno strappo alla schiena (probabilmente rimediato durante i duri scontri del secondo tempo di una partita che aveva assunto i toni della rissa), e l’Italia vinse 1-0 grazie al gol del “Balilla” Giuseppe Meazza. L’1-1 di Regueiro viene annullato da Mercet per fuorigioco, una decisione così contestata che costerà la carriera all’elvetico, che non avrebbe più diretto un incontro internazionale.

In semifinale l’avversario era l’Austria di Sindelar. Grazie alla marcatura dell’oriundo Luisito Monti sul “Mozart del pallone” e a un altro gol irregolare convalidato dallo svedese Eklind (carica di Meazza sul portiere e rete di Guaita, la fotocopia di quanto accaduto con la Spagna), la Nazionale volò in finale. Il ct austriaco Hugo Maisl non commentò l’operato della direzione di gara, ma prima della partita aveva prefigurato quello che sarebbe successo in campo: “Temo l’Italia, ma temo ancora di più l’arbitro”.

Anche in finale, in programma il 10 giugno a Roma contro la Cecoslovacchia, Mussolini decise la designazione arbitrale, affidando di nuovo il fischietto al “fidato” Eklind. Ma stavolta non ci fu bisogno dell’aiuto arbitrale. Gli azzurri vinsero con merito rimontando il gol iniziale di Puc con le reti prima di Raimundo Orsi e poi, nel primo tempo supplementare, di Angelo Schiavio. La finale venne raccontata in diretta per radio: la voce trascinante era quella di Niccolò Carosio, che inaugurò in quel mondiale le radiocronache e per oltre trent’anni divenne il cantore delle gesta della Nazionale. 

Vedi: 85 anni fa il primo Mondiale vinto dall'Italia (con il contributo del Duce)
Fonte: sport agi


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