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67 anni fa l’Italia entrava all’Onu, nonostante il ‘niet’ della Russia

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L’Italia entrò all’Onu dopo cinque “niet” sovietici, uno dei quali arrivò nel 1948

Alessandra Baldini

Fonte @Onuitalia

il 14 dicembre del 1955, esattamente 64 (67) anni fa, l’Italia entrava a far parte dell’Onu. All’epoca, il presidente del Consiglio era Antonio Segni, mentre il capo dello Stato era Giovanni Gronchi. Fu un passo importante per la storia del Paese e arrivò al termine di un percorso diplomatico decennale.

Dieci anni di anticamera. L’Urss aveva alla fine ritirato il veto opposto fino a quel momento e dunque, con il “si” unanime del Consiglio di Sicurezza e poi dell’Assemblea Generale, l’Italia entrò al Palazzo di Vetro in un gruppo di 16 nuovi Paesi comprendente – e fu il compromesso raggiunto con Mosca – anche alcune nazioni balcaniche “satelliti” di Mosca. Gli Occidentali restarono fermi sull’esclusione della Mongolia, l’Urss su quella del Giappone.

L’accordo suggellò un nuovo clima di coesistenza pacifica e di disgelo Est-Ovest dopo la morte di Stalin nel 1953 e al termine di un anno contrassegnato dalla firma del trattato di pace tra Austria e potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale che sanciva la neutralità di Vienna. Altro momento importante della distensione era stato nel luglio di quell’anno a Ginevra la Conferenza dei Quattro Grandi (Usa-Urss-Francia-GB).

L’odissea dell’ammissione italiana è ricostruita sulla base di diari, documenti ufficiali, carteggi diplomatici in un saggio di Francesco Perfetti sul sito della SIOI. Per l’Italia era stato cruciale la visita a Washington nel marzo di quell’anno del presidente del Consiglio Mario Scelba e del ministro degli esteri Gaetano Martino. Sul piano interno c’erano i riflessi del disgelo internazionale con un Pci più accomodante e meno oltranzista che allontanava il leader degli intransigenti Pietro Secchia dalla direzione e metteva al suo posto Giorgio Amendola. I comunisti contribuirono inoltre alla eterogenea maggioranza composta anche da Dc, Psi, Msi e parte della destra monarchica che avrebbe eletto Gronchi al Quirinale.

Si concludeva così, dopo dieci anni e cinque “niet” sovietici un percorso che per l’Italia era stato fino ad allora amaro, a partire dal 1945 quando a Roma fu rifiutata la possibilità di partecipare come osservatore alla Conferenza di San Francisco (24 aprile-26 giugno) che avrebbe elaborato lo statuto della nuova organizzazione mondiale per la pace. Del “profondo senso di delusione” si fece interprete l’allora presidente del Consiglio Alcide De Gasperi in una dichiarazione in Consiglio dei ministri in cui si sottolineava il valore della cobelligeranza dell’Italia.

Spiega Francesco Paolo Fulci, Rappresentante Permanente d’Italia all’Onu tra 1993 e 1999: “Non si vollero tenere in alcuna considerazione i due anni di ‘cobelligeranza’ dell’Italia a fianco degli Alleati, nel 1943-45, dopo l’armistizio di Cassibile; si preferì dimenticare che, nella Società delle Nazioni, l’Italia aveva occupato una posizione di assoluta preminenza, quale “membro permanente” del Consiglio sin dalla sua istituzione, assieme ai vincitori della prima guerra mondiale; ma, cosa ancor più grave, si mortificò l’anelito della risorta democrazia italiana ansiosa di ottenere dalla comunità internazionale il riconoscimento che la pagina del fascismo, della guerra e dell’isolamento fosse stata definitivamente voltata”.

L’Italia entrò all’Onu dopo cinque “niet” sovietici, uno dei quali arrivò nel 1948 alla vigilia delle politiche del 18 aprile che sancirono la vittoria della Dc e la netta sconfitta del fronte popolare delle sinistre. “L’Italia divenne un elemento del contrasto tra Est e Ovest e la sua ammissione si arricchì di motivazioni che non avevano a che fare con l’episodio in sé”, ha scritto lo storico Enrico Serra secondo cui “tutti i tentativi di riportare la questione nei binari fallirono clamorosamente gettando le prime ombre sulla funzionalità delle Nazioni Unite”.

Il primo aprile 1950 l’Italia assunse su mandato Onu l’amministrazione fiduciaria della Somalia. E tuttavia le porte dell’Onu continuavano a restare chiusi tra no di Mosca e note di protesta del governo di Roma. Ma il negoziato continuava. Alla fine, su raccomandazione del Consiglio di Sicurezza, la risoluzione 995 (X) fu votata su due piedi dall’Assemblea Generale, senza consultare i governi, riferì al Ministero degli Esteri il rappresentante diplomatico italiano Alberico Casardi secondo cui il problema era “entrato effettivamente in una nuova fase decisiva dal momento in cui gli americani” avevano accettato “di non opporsi ai satelliti” dell’Urss.

Quel giorno di 64 (67) anni fa i 60 membri delle Nazioni Unite divennero 76 con l’aggiunta di Albania, Austria, Bulgaria, Cambogia, Finlandia, Giordania, Irlanda, Italia, Laos, Libia, Nepal, Portogallo, Romania, Spagna, Sri Lanka (all’epoca Ceylon), Ungheria: per l’Italia si pronunciarono tutti e 56 i Paesi presenti alla votazione. Egidio Ortona, ambasciatore a Washington che aveva vissuto le ultime fasi della vicenda con uno spirito di pessimismo, nell’annotarne la conclusione nel suo diario alla data del 14 dicembre, commentò con queste parole cariche di soddisfazione: “Facciamo un telegramma da cui sprizza il compiacimento per la fine gaudiosa di tanto problema”.

 

 

Nella foto “Il primo Rappresentante Permanente d’Italia all’Onu Alberico Casardi”