Ricorre quest’anno il centotreesimo anniversario della data che segnò la fine della sanguinosa Prima Guerra Mondiale (4 novembre 1918), conclusasi con la sofferta vittoria italiana contro l’Austria-Ungheria e la Germania, dopo circa un anno dalla tragica disfatta di Caporetto
di Augusto Lucchese
Ricorre il centotreesimo anniversario della data che segnò la fine della sanguinosa Prima Guerra Mondiale (4 novembre 1918), conclusasi con la sofferta vittoria italiana contro l’Austria-Ungheria e la Germania, dopo circa un anno dalla tragica disfatta di Caporetto (24 ottobre 2017) .
Il 4 novembre è adesso ricordato solo quale “Festa delle Forze Armate” mentre, sino a qualche lustro addietro, era addirittura annoverato fra i giorni festivi più rilevanti. Tale prerogativa fu abolita con la riclassificazione delle festività di cui alla legge n°54 del 5 marzo 1977.
Nell’ambito di una doverosa conoscenza storica, tuttavia, è facilmente constatabile che, a prescindere da tale declassamento, non è stata mai avvertita l’esigenza di spiegare esaustivamente alla gran massa degli italiani (in maniera veritiera e documentalmente obbiettiva) i nebulosi risvolti, gli ambigui retroscena, le manchevolezze delle alte gerarchie militari e politiche, le conseguenze di natura internazionale (Versailles). Pochi, inoltre, conoscono a fondo le terrificanti vicissitudini e l’eroico olocausto delle truppe di prima linea, i patimenti della inumana vita di trincea, i risvolti delle crudeli “decimazioni” deliberate e poste in atto da taluni “carnefici” d’alto lignaggio abusando del potere militare loro conferito.
La storia andrebbe analizzata nella sua interezza e non mai nella versione più o meno artatamente predisposta da chi sembra che abbia la vocazione a nascondere (o “segretare”) tragiche scomode verità. Specie in campo scolastico (di ogni ordine e grado) non si dovrebbe mai essere omertosi o reticenti. Ne va della coscienza delle giovani generazioni che in tal maniera ricevono lacunose nozioni e rimangono (talvolta per tutta la vita) nel limbo della disinformazione, dei luoghi comuni, della ignoranza. Le Istituzioni civili e militari sono sicuramente i primi responsabili di ciò, ma è al variegato e superficiale ambiente dei mass – media e del mondo insegnante e accademico che va ascritta, di massima, una sorta di tacita complicità.
Tuttavia, non è questa la sede idonea per approfondire l’argomento.
Considerando intangibili e sacri i valori patriottici legati al giorno che segnò la fine del sanguinoso conflitto mondiale, non sembra ammissibile che tale ricorrenza sia solo marginalmente ricordata mediante “allocuzioni” di facciata, più o meno farisaiche.
Onorando i 650/mila caduti e il milione circa di invalidi che la “Grande guerra” apportò, sarebbe doveroso porre in giusto rilievo i patimenti, i sacrifici, i pericoli affrontati da milioni di soldati, graduati e ufficiali che, pur se sopravvissuti, subirono la permanenza per lunghi mesi, quando non per anni, nelle zone di combattimento e nelle infide trincee dell’Altopiano di Asiago, del Cadore, della Carnia, della Bainsizza, sul Carso e sul San Michele, sul sacro Monte Grappa o sulle sponde insanguinate dell’Isonzo, del Tagliamento, del Piave.
Il quadro del poco edificante odierno scenario politico e sociale, tuttavia, non sembra culturalmente idoneo a porre obiettivamente in risalto la giusta valenza di taluni avvenimenti storici di un passato che, nel bene e nel male, è stato parecchio significativo e qualificante. Sembra che si voglia pregiudizialmente evitare ogni pur larvato riferimento alle verità taciute o a quelle nascoste o disperse nei faldoni degli Archivi di Stato, pur se talvolta esaustivamente emerse dal certosino lavoro di specifiche Commissioni d’inchiesta
Si da la precedenza, invece, alla sistematica messa in scena di manifestazioni di prammatica che si traducono in costose passerelle di politici d’ogni discutibile levatura e caratura, di militari d’alto bordo addobbati con divise sfarzose da museo, in sfilate di reparti di formazione delle diverse Armi. Senza dimenticare le esibizioni dei ben onerosi complessi musicali militari, i folcloristici spettacoli di interi reparti indossanti ricche divise e fregi d’altri tempi, le costose e onnipresenti “Frecce Tricolori”, le preziose Unità navali dispiegate da una base all’altra. Un bel fumo negli occhi.
Sarebbe altamente apprezzabile, oltre che moralmente e civilmente confacente, che chi di ragione disdettasse, almeno per il momento, tali incongrue manifestazioni, ben poco essenziali.
Viceversa, i signori governanti di questo illustre Paese, le “eccellenze” più o meno blasonate della galassia politica, quasi incuranti della situazione prima rassegnata, seguitano ad esercitare le loro temporanee funzioni nei vistosi palazzi del potere o in monumentali ex residenze regali, “decidendo” che gli artificiosi festeggiamenti avvengano regolarmente, costi quel costi.
Epidemie o non, alluvioni o non, disastri ambientali o non, migliaia di morti o non, non inducono a deroghe, a sospensioni, ad abrogazioni. Tutto come da copione.
Gli esimi vessilliferi di questo straordinario Paese di “suonatori di mandolini e mangiatori di pasta asciutta”, sembra che non riescano a rinunciare, oltretutto, all’impazienza d’inneggiare al vacuo, al futile, all’appariscenza fine a se stessa, glissando, a dir poco, su infausti avvenimenti di un non sempre edificante passato o del controverso presente o sottacendo su comportamenti ambigui, se non proprio riprovevoli, di rappresentativi personaggi. Sembra che non riescano a venire meno all’usanza di fare della retorica un’arma pericolosamente ingannatrice, ricorrendo a forbite frasi di circostanza, elargendo generiche “promesse” di aiuto e solidarietà, salvo poi a non mantenere che poco o niente di tali promesse. Ma l’aspetto più inqualificabile s’evidenzia quando costoro assumono la veste di compunti compartecipi di dolori, ansie, sofferenze scaturenti da disastri o sciagure, magari manifestando “formale” cordoglio per le vittime. Rattristante spettacolo.