di Gianni De Iuliis
La società in accomandita semplice Ingegnere Camillo Olivetti & c. venne fondata a Ivrea (Torino) il 29 ottobre 1908 da Camillo Olivetti e da altri soci, quasi tutti di Ivrea.
Negli anni della Prima Guerra Mondiale la fabbrica, che contava allora già più di 100 operai, fu adattata alla produzione di componenti per armi e soprattutto di magneti per motori di aerei, che erano una specialità tedesca.
Finita la guerra la riconversione fu rapida e Camillo si dedicò alla progettazione di un nuovo modello di macchina per scrivere, chiamato M20, che uscì nel 1920 e fu presentato a un’esposizione internazionale a Bruxelles; negli anni Venti insidiò la supremazia dei produttori stranieri in un mercato italiano che la Olivetti stessa aveva contribuito a far crescere.
Agli inizi del 1926, Camillo fu affiancato in fabbrica dal figlio primogenito Adriano (1901-1960), laureatosi in ingegneria chimica presso il Politecnico di Torino. Questi cominciò subito a mettere in pratica sia nuove misure di organizzazione industriale – ispirate a quanto aveva osservato in un viaggio di studio effettuato negli Stati Uniti nel 1925, poco dopo la laurea – sia progetti di nuovi prodotti.
Dalla crisi economica mondiale del 1929 la Olivetti uscì abbastanza bene, forte di 500 operai, in grado di produrre 12.000 M20 l’anno.
Nel 1932 la Olivetti divenne società anonima, con capitale di 13 milioni di lire e in cui Adriano venne nominato direttore generale. Camillo mantenne la presidenza dell’azienda.
Adriano Olivetti riuscì a creare nel secondo dopoguerra italiano un’esperienza di fabbrica nuova e unica al mondo: egli credeva che fosse possibile creare un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto, tanto che l’organizzazione del lavoro comprendeva un’idea di felicità collettiva che generava efficienza. Gli operai vivevano in condizioni migliori rispetto alle altre grandi fabbriche italiane: ricevevano salari più alti, vi erano asili e abitazioni vicino alla fabbrica che rispettavano la bellezza dell’ambiente, i dipendenti godevano di convenzioni.
Anche all’interno della fabbrica l’ambiente era diverso: durante le pause i dipendenti potevano servirsi delle biblioteche, ascoltare concerti, seguire dibattiti e non c’era una divisione netta tra ingegneri e operai, in modo che conoscenze e competenze fossero alla portata di tutti. L’azienda accoglieva anche artisti, scrittori, disegnatori e poeti, poiché l’imprenditore Adriano Olivetti riteneva che la fabbrica non avesse bisogno solo di tecnici ma anche di persone in grado di arricchire il lavoro con creatività e sensibilità.
Il 27 febbraio 1960 Adriano Olivetti fu colto da un’improvvisa emorragia cerebrale. I soccorsi furono inutili. Non fu eseguita l’autopsia, lasciando adito ad ipotesi di complotto a favore di lobby statunitensi. Come si scoprì in seguito, l’industriale fu oggetto d’indagini da parte della CIA.
Al momento del suo decesso l’azienda fondata dal padre e da lui per lungo tempo diretta vantava una presenza su tutti i maggiori mercati internazionali, con circa 36.000 dipendenti. Dopo la sua morte si chiuse un’importante stagione per l’elettronica italiana.