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32 anni fa Cosa Nostra uccideva Libero Grassi, l’imprenditore che rifiutò il racket

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A Palermo affisso lo storico manifesto in via Alfieri. Su Facebook Ardita sottolinea: “Non cali la tensione sulla lotta al racket”

“Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia”. Il 10 gennaio del 1991, l’imprenditore siciliano Libero Grassi, con una lettera inviata al Giornale di Sicilia, esprimeva pubblicamente la propria posizione contro la mafia, ribellandosi apertamente alla violenza e al racket. Un atto rivoluzionario in una Sicilia in cui pochi imprenditori, al tempo, avevano il coraggio di fare. Quel coraggio Grassi lo pagherà con la propria vita qualche mese dopo; il 29 agosto infatti, alle sette e mezza del mattino, in una Palermo ancora avvolta dalla calura estiva, mentre a piedi si stava recando a lavoro nell’attività commerciale di famiglia come ogni mattina, venne raggiunto da un uomo che gli scaricò addosso quattro colpi di pistola uccidendolo. Cosa nostra in questo modo punì chi aveva avuto l’ardire di ribellarsi, di tentare di liberarsi dal cappio stretto attorno alle aziende siciliane. Questa mattina in via Alfieri, luogo dell’omicidio, ne è stato ricordato il sacrificio. I figli Alice e Davide hanno dipinto di rosso il marciapiede dove il loro padre cadde sotto i proiettili della mafia, in seguito è stato affisso il manifesto scritto a mano, – perché la famiglia non ha mai voluto una targa- con cui si ricorda il coraggioso imprenditore. “Il 29 agosto 1991 è stato assassinato Libero Grassi, imprenditore, uomo coraggioso, ucciso dalla mafia, dall’omertà dell’associazione degli industriali, dall’indifferenza dei partiti, dall’assenza dello Stato”, c’è scritto.

La storia di Libero
Libero di nome e di fatto, Grassi porterà con sé fin dalla nascita quest’aggettivo; la sua esistenza, il padre era antifascista, infatti è essa stessa testimonianza di una eroica disubbidienza verso le regole del malaffare. Da uomo probo che lottava per i suoi ideali, sempre, senza mai farsi intimidire. Nato a Catania nel ’24, a 8 anni si trasferisce a Palermo. Studierà tra Palermo e Roma con il sogno di diventare diplomatico ma asseconderà il volere del padre commerciante. Si formò a Gallarate, nel profondo nord industriale; formazione che gli permetterà di tornare in Sicilia e aprire uno stabilimento tessile.

Libero Grassi non era un semplice imprenditore tutto “fabbrica e lavoro”, è stato un grande attivista civile, impegnato nella politica dapprima avvicinandosi ai Radicali poi al Partito Repubblicano. Ma il suo più grande impegno è nella lotta alla mafia da commerciante, attraverso un gesto che a quel tempo appariva rivoluzionario: rifiutarsi di pagare il pizzo, obiettando con un secco no alle telefonate del fantomatico “geometra Anzalone”. “Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al ‘Geometra Anzalone’ e diremo no a tutti quelli come lui”, scriverà nella missiva indirizzata al Giornale di Sicilia in cui sfidava a viso aperto Cosa Nostra. Preziosa la sua collaborazione per individuare gli estortori, i fratelli Avitabile, temibili esattori della famiglia Madonia di Resuttana. Grassi denunciò anche l’isolamento che subì dopo la lettera si sentì solo, avvertì la totale assenza di Sicindustria. E fu proprio l’isolamento ad aprire la strada a Cosa Nostra per l’omicidio. Autori e mandanti furono poi individuati; a premere il grilletto Salvino Madonia, figlio del boss di Resuttana, ma il via libera al suo omicidio fu deliberato dall’intera Cupola. La sua morte, come accaduto altre volte in Sicilia con il sacrificio di altri eroi civili, contribuì a dotare l’Italia di uno strumento a favore degli imprenditori coraggiosi; nello specifico al varo del decreto che porta alla legge anti-racket 172, con l’istituzione di un fondo di solidarietà per le vittime di estorsione. Un sacrificio che non è risultato vano, una morte che ha scosso le coscienze e convinto molti imprenditori allora come oggi, a distanza di 31 anni esatti, a denunciare il pizzo.

Il ricordo di Sebastiano Ardita
Oggi, però, come ha sottolineato il consigliere togato del Csm Sebastiano Ardita su Facebook, “le associazioni antiracket denunciano un calo di tensione ed una attenuazione dei benefici che – a partire dall’omicidio di Libero Grassi – lo Stato aveva assicurato a chi denuncia il racket. Come capita in molti settori dell’antimafia si è tornati indietro”, ha puntualizzato Ardita. “Anche in questo caso fare memoria può aiutare a non attenuare la tensione. Per evitare che Libero Grassi sia morto invano”.

 

Fonte: https://www.antimafiaduemila.com/