di Antonino Gulisano
Henry Ford nasce il 30 luglio del 1863 in una fattoria di Dearborn, nello stato del Michigan, da William Ford, di origini irlandesi e da Mary Ford, nata in America da immigrati del Belgio. Già da bambino, Ford si appassiona alla riparazione degli orologi da tasca e a soli 13 anni, inizia a raggranellare i primi guadagni riparando quelli di amici e vicini di casa.
Henry Ford (Dearborn, 30 luglio 1863 – Detroit, 7 aprile 1947) fu uno dei fondatori della Ford Motor Company, società produttrice di automobili, ancora oggi una delle maggiori del settore negli Stati Uniti e nel mondo. Tramite essa, guadagnò un capitale stimato in 199 miliardi di dollari, cosa che lo renderebbe la nona persona più ricca della storia.
Figlio di agricoltori di origine irlandese, nel 1888 si trasferì a Detroit, dove venne assunto dalla società elettrica di Thomas Edison, uno dei padri della lampadina. Durante il tempo libero si dedicò alla costruzione di un’automobile con il motore a combustione interna inventato da Karl Benz e Gottlieb Daimler pochi anni prima. Il primo prototipo di quadriciclo costruito da Ford, nel garage della propria abitazione, fu sperimentato su strada il 4 giugno 1896.
Nel 1899 lasciò l’impiego ed entrò come ingegnere capo nella Detroit Automobile Company. Dopo tre anni decise di lasciarla e fondare la Ford dove, con lo scopo di contenere i prezzi dei beni prodotti attraverso la riduzione dei tempi di lavorazione, introdusse il sistema di lavoro della catena di montaggio. Resta famosa la Ford T, auto semplice (era disponibile solo di colore nero) ed economica, la prima ad essere prodotta su grande scala. Era il 1908 quando la prima Ford T vide la luce: la mitica Lizzie.
Venne prodotta fino al 1927 e ne furono costruiti 15 milioni di esemplari. Fu inoltre inventore della Hemp Body Car, un’automobile (mai messa in commercio) interamente realizzata in fibre di canapa ed alimentata da etanolo di canapa (il carburante veniva raffinato dai semi della pianta). Unendo infatti passione per la natura ed indubbio fiuto per gli affari, l’imprenditore statunitense volle ad ogni costo che venisse realizzata una vettura che “uscisse dalla terra”. Per realizzare questo progetto impegnò nella ricerca il fior fiore dei suoi ingegneri che nel 1941, dopo 12 anni di ricerca, diedero forma concreta al progetto. Ford morì sei anni dopo e nel 1955 la coltivazione della canapa venne proibita negli Usa.
In occasione del suo 75º compleanno, nel 1938, Adolf Hitler lo insignì della Gran Croce del Supremo Ordine dell’Aquila Tedesca, che era la più alta onorificenza del regime nazista conferibile ad uno straniero, per l’impegno della sua filiale Ford in Germania nel rifornire l’esercito nazista di mezzi blindati e nel donare tutti gli utili alla causa nazista. Inoltre Ford, per diversi anni durante il regime nazista, si impegnò a versare 50.000 USD di allora come sostegno al partito di Hitler. Iniziato in Massoneria, fu fatto Maestro massone nel 1894 nella Loggia “Palestine Lodge N. 357” di Detroit e raggiunse il 33º ed ultimo grado del Rito scozzese antico ed accettato nel 1940.
Questi fu nominato presidente della Ford Motor Company il 21 settembre 1945 e, a partire dal 1949, avviò il processo di ristrutturazione dell’impresa propugnato dal padre Edsel già dal 1934, ma categoricamente rifiutato dal nonno Henry fin da allora. Henry Ford fu autore di un libretto in 4 volumi dal titolo “L’ebreo internazionale” (“The International Jew: The World’s Foremost Problem”). Il libretto, che descrive il progetto di dominio sul mondo da parte del popolo ebreo, fu ampiamente diffuso in Germania durante il nazismo e fu fonte di ispirazione per Hitler. Ford sostenne anche l’autenticità dei Protocolli dei Savi di Sion e ne fece stampare un’edizione a sue spese, regalando copie autografate del libro; in seguito, tuttavia, ordinò di ritirare le copie dal commercio.
Ford morì all’età di 83 anni nel 1947 ed oggi riposa nel cimitero a lui stesso intitolato a Detroit, Michigan. Dal 1967 il suo nome è inserito nell’Automotive Hall of Fame, che raggruppa le maggiori personalità distintesi in campo automobilistico, premio assegnato da una associazione la cui sede attuale è nella sua città di nascita.
Il suo motto: l’entusiasmo è alla base di tutti i progressi.
Taylorismo e Fordismo. Taylorismo e fordismo sono due complessi fenomeni economici, sociali e organizzativi che fanno capo a due illustri personaggi degli inizi del Novecento: l’ingegnere Frederick Taylor (1856 – 1915) e l’industriale automobilistico Henry Ford (1863 – 1947).
Il taylorismo è una teoria del management formulata da Frederick Taylor nella sua monografia L’organizzazione scientifica del lavoro del 1911.
Partendo da una critica alla varietà di procedimenti e mansioni svolti all’interno dell’officina e da una supposizione secondo cui gli operai sfruttavano opportunisticamente la disomogeneità dei processi produttivi per minimizzare lo sforzo lavorativo, egli elaborò il suo metodo di organizzazione scientifica del lavoro: basata sulla razionalizzazione del ciclo produttivo secondo criteri di ottimalità economica, fu raggiunta attraverso la scomposizione e parcellizzazione dei processi di lavorazione nei singoli movimenti costitutivi, cui venivano assegnati tempi standard di esecuzione. Questo processo consisteva di tre fasi:
– Analizzare le caratteristiche della mansione da svolgere,
– Creare il prototipo del lavoratore adatto a quel tipo di mansione,
– Selezionare il lavoratore ideale, al fine di formarlo e introdurlo nell’azienda.
A seguito dell’alienazione, nella quale all’individuo non era richiesta una specifica conoscenza né una competenza particolare, poiché era semplicemente chiamato ad interagire con una macchina che avrebbe svolto per lui le funzioni prestabilite, c’era un estremo bisogno di una figura che portasse delle effettive soluzioni a tali scompensi sociali, quali il malessere lavorativo, lo stress quotidiano, il malcontento e la scarsa resa produttiva.[senza fonte] Tali concetti si sono concretizzati storicamente durante la rivoluzione industriale, dove spesso la mancanza di una abilità necessaria a compiere il lavoro prefissato faceva sì che i proprietari dell’industria prediligessero l’uso di donne e bambini, i quali potevano essere pagati di meno e risultavano più docili.[senza fonte]
La prima introduzione su vasta scala dei metodi tayloristici fu attuata da Henry Ford, che nel 1913 realizzò la catena di montaggio per avviare la produzione del modello T, l’automobile destinata a conquistare il mercato con i suoi prezzi particolarmente competitivi.
Con la parola fordismo si indica una peculiare forma di produzione basata principalmente sull’utilizzo della tecnologia della catena di montaggio (assembly-line) al fine di incrementare la produttività. Il significato è variabile nei diversi Paesi.
Il fordismo rappresenta un continuum con il taylorismo. In pratica ne rappresenta l’applicazione nel settore automobilistico.
Henry Ford alla fine del 1908 concepì e realizzò un modello di autovettura unico e standardizzato: la Ford T. Nel 1913 introdusse e generalizzò il modello di lavoro “a catena” attraverso il reclutamento massiccio di manodopera generica. Ford percepì benissimo cosa significava in termini quantitativi, in un grande mercato come quello degli States, la domanda di agricoltori e liberi professionisti e il modo per soddisfarla attraverso un prodotto che rispondeva ai loro bisogni: la Ford T, spaziosa per una famiglia, facile da guidare, funzionale, senza accessori superflui, leggera e sufficientemente veloce e robusta per adattarsi alle asperità delle strade dell’epoca. Ford tentò di uniformare quasi completamente prodotto e produttore. Verso il 1917 il modello T fu prodotto, equipaggiato allo stesso modo e dipinto esclusivamente di nero.
La catena di montaggio.
La catena di montaggio rappresenta una rottura della logica intellettuale del lavoro contrariamente al metodo Taylor. Essa implica un tempo uniforme per ogni postazione di lavoro e un identica lunghezza di “passo”. Da qui nasce un problema del tutto nuovo: per evitare le perdite di tempo, di spazio e le perturbazioni sulla linea, bisogna che gli operatori debbano svolgere per ogni postazione di lavoro un numero di operazioni il cui tempo e spazio di esecuzione si avvicini più possibile al tempo del ciclo e alla lunghezza del “passo”. A questo fine le operazioni vanno considerate indipendenti l’una dall’altra e distribuite in modo aleatorio tra le postazioni di lavoro. L’operatore è quindi costretto a memorizzare delle operazioni senza nessun legame tra di loro.
Al contrario il taylorismo, nella sua organizzazione del lavoro, scomponeva i compiti in operazioni elementari per trovare la sequenza ritenuta più efficace ed economica e non comprometteva la logica intellettuale della loro realizzazione (Boyer Freyssenet, 2005).
Con l’avvento della tecnologia robotica e informatica venne superata la teoria fordista della catena di montaggio e la postazione fissa umana.
Verso la fine degli anni Sessanta i presupposti del fordismo vennero messi in discussione dal crescente antagonismo delle parti sociali, proprio mentre l’impegno a mantenere la piena occupazione e i costi crescenti dello stato sociale creavano forti tensioni a livello di governo. Questa “crisi” del fordismo ha indotto molti osservatori a sostenere che il capitalismo di mercato è passato a un sistema post fordista di produzione e di relazioni sociali.
È opinione diffusa che i metodi produttivi basati sulle nuove tecnologie, in particolare sulla microelettronica e l’informatica, abbiano determinato il capovolgimento di molte caratteristiche del fordismo associate all’accresciuto livello di automazione e alla complessità della produzione. Alla fiducia, propria dell’era fordista, nella contrattazione collettiva, è subentrato un nuovo individualismo; il ruolo sociale svolto dai sindacati si è ridimensionato e, nello stesso tempo, si è verificata una sensibile contrazione dell’intervento dello stato nell’economia, in particolare nel settore industriale, come attesta il diffuso processo di privatizzazione avvenuto nelle economie di mercato sviluppate.
Con la politica economica comparata si manifesta una ripresa di interesse e di impegno della sociologia economica a livello macroeconomico, stimolata dalle difficoltà e dalle trasformazioni dello stato sociale keynesiano. Contemporaneamente, però, prende forma una problematica teorica e di ricerca che si colloca più a livello microeconomico e si misura con i cambiamenti, non meno rilevanti, nell’organizzazione delle imprese e dei processi produttivi. Lo sviluppo delle nuove forme produttive «flessibili».
Non è sempre possibile introdurre in tutti i settori produttivi il modello della grande impresa e della produzione di massa: l’impiego delle tecnologie necessarie. Ci sono diversi tipi di produzioni (beni non standardizzati o di elevata qualità, macchine speciali) a domanda limitata o estremamente variabile (leggasi: moda) in cui ciò non è possibile, per cui c’è uno spazio anche per imprese più piccole, a gestione tradizionale.