di Lorenzo Lavacca
Era il lontano 1993. Una vita per l’evoluzione tecnologica, un battito di ciglia per la storia del mondo. Eppure quel 30 aprile 1993 fu davvero significativo per il progresso dell’umanità, perché il World Wide Web (o, più comunemente, www) ha radicalmente cambiato il modo di fare economia, di seguire la politica, perfino di socializzare.
Fu in quel giorno di 28 anni fa che il Web, inizialmente appannaggio del CERN per scopi scientifici, divenne di fatto libero, perché allora il suo inventore Tim Berners Lee decise di donare agli sviluppatori di tutto il mondo il linguaggio di questo nuovo mondo digitale, il suo codice sorgente.
La lampadina si era accesa nel 1989 e da allora non si è mai spenta. Così, nel giro di due anni Berners-Lee, assieme al suo collega belga Robert Calliau, fece diventare realtà la sua idea: documenti consultabili in rete con un protocollo specifico e organizzati con dei collegamenti ipertestuali che potessero essere letti e navigati grazie a un browser. L’ipertesto. Da allora lo sviluppo è stato costante e continuo: primi server, prima pagina ipertestuale grazie al linguaggio html, primo browser – Mosaic – inizialmente su piattaforma NeXT e poi anche sugli altri sistemi operativi a partire da Windows e Macintosh grazie all’università dell’Illinois. Insomma, il computer smetteva di essere soltanto un elaboratore che comunicava con i suoi simili solo con dischetti o con piccole reti fisiche e locali e diventava un terminale intelligente e connesso.
Eppure, la storia del computer (come lo intendiamo noi oggi) ha origine più remota: già durante la seconda guerra mondiale, con il primo elaboratore degli americani, il famoso Colossus, gli alleati erano riusciti a decifrare i messaggi dei tedeschi in una sorta di spionaggio informatico ante litteram, che alla lunga risultò fondamentale per le sorti del conflitto (si pensi all’imboscata americana che avvenne alle Midway, sul Pacifico occidentale). Da allora, l’informatica (come scienza) fu portata avanti in tutto il mondo, soprattutto da quegli americani che l’avevano utilizzata a loro favore, seppur circoscritta per problemi di carattere politico e, appunto, scientifico.
L’influenza che il web, libero ed aperto a tutti, ha avuto e continua ad esercitare sulla popolazione mondiale è enorme, tanto da essere talvolta sottovalutata: con il web è nata una nuova era, quella della digitalizzazione di massa, una sorta di nuova globalizzazione, come quella che si ebbe con la scoperta dell’America o con l’invenzione del telegrafo, per intenderci. Con questa digitalizzazione, a sua volta, è nata l’industria 4.0, con le nuove professioni che ne conseguono (molte delle quali ancora da scoprire), sono comparse le prime piattaforme di vendita online, di cui oggi Amazon ne è l’ammiraglia, ma anche le piattaforme di conoscenza online, meglio note come i social network. E dai social network si è arrivati a un nuovo modo di socializzare e di stare al mondo, letteralmente: alla vita reale si è presto affiancata una nuova realtà, quella virtuale, che ha sconvolto l’universo umano ed emotivo delle persone, in quello che molti critici contemporanei definiscono un “neo-individualismo” o neo-decadentismo, caratterizzato dalla diffidenza, dall’esaltazione dell’io e, pertanto, da un grande senso di vuoto e solitudine.
Questo neo-individualismo, accentuato anche dalla pandemia dei giorni nostri, spesso di manifesta nella cultura (artistica, musicale e cinematografica) e nell’economia in primis, cartine tornasole degli adolescenti di oggi: è notizia recente che Gucci, noto brand di moda, ha lanciato una limited edition di virtual shoes, cioè di scarpe virtuali, “indossabili” con il proprio avatar online, ma che di fatto non esistono nella realtà. La vera notizia, però, è che queste “scarpe” sono andate sold-out nel giro di qualche ora: volente o nolente, siamo di fronte a un mondo nuovo, con nuovi valori e nuove idee, e a una innovazione tecnologica che nel giro di un decennio ha soppiantato il corso naturale di mille anni di storia.