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2 giugno 1946. L’Italia diventa Repubblica

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di Antonino Gulisano

Ogni anno, il 2 giugno, l’Italia ricorda il referendum del 1946 con cui gli italiani furono chiamati a scegliere tra la Monarchia e la Repubblica. Quel giorno di 75 anni fa, circa 25 milioni di cittadini si recarono alle urne: il risultato fece emergere ancora, anche dopo l’Unità d’Italia, un Paese profondamente diviso tra Nord e Sud.

Esaurito il ventennio di dittatura fascista, per la prima volta la società italiana visse l’esperienza di libere elezioni a suffragio universale maschile e femminile: si votò domenica 2 e lunedì 3 giugno anche per l’elezione di un’Assemblea Costituente, alla quale sarebbe stato affidato il compito di redigere la nuova Carta costituzionale (come stabilito con il decreto legislativo luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944), contemporaneamente al referendum istituzionale per la scelta tra Monarchia (che ottenne 10.719.284 voti) e Repubblica (12.717.923). Un milione e mezzo furono le schede bianche e nulle. Nel 1946 gli aventi diritto al voto erano 28 milioni, i votanti furono quasi 25 milioni (24.946.878 per la precisione), pari all’89,08% (dati dal sito del Quirinale). Certo, è bene ricordare che non tutti gli italiani poterono recarsi alle urne: ad essere esclusi furono, ad esempio, i militari prigionieri di guerra nei campi degli alleati; gli internati in Germania; gli abitanti della provincia di Bolzano; e nemmeno a Trieste, Pola, Fiume e Zara.

La Repubblica ottenne, quindi, poco più del 54 per cento dei voti. A esprimersi, fu un’Italia spaccata tra Nord e Sud. Ma come si espressero gli allora «compartimenti»? Il Nord votò a maggioranza per la Repubblica mentre il Sud confermò la tradizionale fedeltà all’istituto monarchico. Qualche esempio? In Piemonte, culla dei Savoia, la Repubblica ottenne 1.250.070 voti, in Toscana 1.280.815. In Sicilia, al contrario, furono 1.301.200 i voti per la monarchia e “solo” 708.109 quelli per la Repubblica. In Campania, ancora, 1.427.038 quelli per la monarchia, 435.844 quelli per la Repubblica. Una curiosità? La Repubblica ottenne il risultato più ampio a Trento, dove conquistò l’85 per cento dei consensi; mentre Napoli fu la città dove la Monarchia ottenne il risultato migliore (79%).

Per la prima volta in una consultazione politica nazionale votavano anche le donne: risultarono votanti circa 13 milioni di donne e 12 milioni di uomini. I risultati ufficiali furono proclamati dalla Corte di Cassazione il 10 giugno 1946: 12.717.923 cittadini favorevoli alla repubblica e 10.719.284 cittadini favorevoli alla monarchia. Il giorno successivo tutta la stampa diede ampio risalto alla notizia.

La notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente Alcide De Gasperi, prendendo atto del risultato, assunse le funzioni di capo provvisorio dello Stato. L’ex re Umberto II lasciò volontariamente il paese il 13 giugno 1946, diretto a Cascais, nel sud del Portogallo, senza nemmeno attendere la definizione dei risultati e la pronuncia sui ricorsi, che saranno respinti dalla Corte di Cassazione il 18 giugno 1946; lo stesso giorno la Corte integrò i dati delle sezioni mancanti, dando ai risultati il crisma della definitività. I sostenitori della causa monarchica hanno lamentato azioni di disturbo e brogli elettorali nella consultazione popolare, peraltro mai dimostrati. Subito dopo la consultazione elettorale non mancarono scontri provocati dai sostenitori della monarchia, durante i quali si verificarono alcune vittime, come ad esempio a Napoli, in via Medin.

Il 2 giugno 1946, insieme con la scelta sulla forma dello Stato, i cittadini italiani elessero anche i componenti dell’Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova carta costituzionale. Alla sua prima seduta, il 28 giugno 1946, l’Assemblea Costituente elesse a capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, con 396 voti su 501, al primo scrutinio. Con l’entrata in vigore della nuova Costituzione della Repubblica Italiana, il 1º gennaio 1948, De Nicola assunse per primo le funzioni di presidente della Repubblica. Si trattò di un passaggio di grande importanza per la storia dell’Italia contemporanea dopo il ventennio fascista, il coinvolgimento nella seconda guerra mondiale e un periodo della storia nazionale assai ricco di eventi. Nello stesso anno, nel mese di maggio, fu poi eletto presidente della Repubblica Luigi Einaudi, primo a completare regolarmente il previsto mandato di sette anni.

Il 16 marzo 1946 il principe Umberto decretò, come previsto dall’accordo del 1944, che la forma istituzionale dello Stato sarebbe stata decisa mediante referendum da indirsi contemporaneamente alle elezioni per l’Assemblea Costituente. Il decreto per l’indizione del referendum recitava, in una sua parte: «…qualora la maggioranza degli elettori votanti si pronunci…», frase che poteva lasciar intendere che esisteva anche la possibilità che nessuna delle due forme istituzionali proposte (monarchia o repubblica) raggiungesse la maggioranza degli elettori votanti. L’ambiguità di questa espressione sarà causa di accesi dibattiti e contestazioni post referendarie, comunque ininfluenti per la proclamazione del risultato referendario, in quanto i voti favorevoli alla repubblica saranno numericamente superiori alla somma complessiva delle schede bianche, nulle e favorevoli alla monarchia.

Oltre ai tradizionali partiti di orientamento repubblicano (PCI, PSIUP, PRI e Partito d’Azione) tra il 24 e il 28 aprile 1946, nell’ambito dei lavori del suo I Congresso, anche la Democrazia Cristiana, a scrutinio segreto, si espresse a favore della Repubblica, con 730.500 voti favorevoli, 252.000 contrari, 75.000 astenuti e 4.000 schede bianche. L’unico partito del CLN a esprimersi in senso favorevole alla monarchia fu il Partito Liberale, che durante il suo congresso nazionale, tenutosi a Roma, votò una mozione in tal senso, con 412 voti contro 261. Alla consultazione referendaria, il PLI si presentò insieme con Democrazia del lavoro nella lista Unione Democratica Nazionale. Il Fronte dell’Uomo Qualunque, di nuova costituzione, assunse una posizione agnostica.

Per memoria storica, il movimento repubblicano ha eredi lontani, ancor prima dell’Unità d’Italia. Nel luglio 1831, Giuseppe Mazzini, esule a Marsiglia, fondò la Giovine Italia, il movimento politico che, per primo, si pose come obiettivo quello di trasformare l’Italia in una Repubblica democratica unitaria, secondo i principi di libertà, indipendenza e unità, destituendo le monarchie degli stati preunitari, Regno di Sardegna compreso. La Giovine Italia costituì uno dei momenti fondamentali nell’ambito del Risorgimento italiano e il suo programma repubblicano precedette nel tempo sia l’ideologia neoguelfa di Vincenzo Gioberti (unificazione d’Italia sotto il Papato), sia quella filo piemontese di Cesare Balbo. Successivamente, il milanese Carlo Cattaneo si fece promotore di un’Italia laica come intesa dal Mazzini ma organizzata in Repubblica federale.

Il progetto politico mazziniano e quello di Cattaneo furono vanificati dall’azione del primo ministro piemontese Camillo Benso di Cavour e di Giuseppe Garibaldi; quest’ultimo, pur provenendo dalle file della Giovine Italia mazziniana accantonò il problema istituzionale ai fini dell’Unificazione nazionale italiana. Dopo aver proceduto alla conquista di quasi tutta l’Italia meridionale (Regno delle Due Sicilie), con l’impresa della Spedizione dei Mille, Garibaldi consegnò i territori conquistati al Re di Sardegna Vittorio Emanuele II, ricevendo pesanti critiche da alcuni repubblicani che lo accusarono di tradimento, anche se Garibaldi continuò ad agire di propria volontà e in continuo contrasto con il governo monarchico italiano.