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1999 – l’inizio dell’Operazione NATO in Kosovo

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Il ricordo e il ruolo dell’Italia

Di Mario RENNA

 

Se da un lato il 2019 ha segnato il settantesimo anniversario della NATO, nello stesso anno si è celebrato il ventennale della più longeva delle operazioni in corso dell’Alleanza Atlantica: la Kosovo Force, più nota con l’acronimo KFOR, iniziata il 12 giugno 1999 e nel cui ambito l’Italia ha giocato e gioca tuttora un ruolo primario, detenendone il comando ininterrottamente dal 2013. Nel nostro Paese l’anniversario è stato ricordato lo scorso 19 settembre a Caserta – sede del Comando Brigata Bersaglieri ‘Garibaldi’ – con una serie di eventi, tra cui una mostra fotografica, una conferenza con alcuni protagonisti di spicco e una cerimonia militare, alla quale hanno partecipato il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il Comandante Generale dell’Arma del Carabinieri e gli ex comandanti del contingente italiano e della missione. Tornando indietro a vent’anni fa, alle cinque del mattino del 12 giugno del 1999 ventimila soldati con le insegne della NATO fanno il loro ingresso in Kosovo, pochissimi giorni dopo la fine della campagna aerea alleata diretta contro le forze e il regime di Slobodan Milosevic, con  l’inizio dell’Operazione NATO in Kosovo Mario RENNA Il ricordo e il ruolo dell’Italia 5 volte in durissimi scontri armati con la maggioranza albanese di fede musulmana che vive nella provincia meridionale della Jugoslavia, popolata da quasi 2 milioni di abitanti su una superficie di circa 11 mila chilometri quadrati (all’incirca quella dell’Abruzzo). Il Kosovo era già da anni teatro di una progressiva restrizione dell’ampia autonomia goduta fino a quel momento. Dal 1998 in avanti si registra però una escalation di terribili violenze interetniche che causeranno alla fine oltre 13 mila vittime, per la maggior parte kosovari albanesi, e la distruzione di migliaia di abitazioni e delle principali infrastrutture. La crisi desta allarme in occidente e sfocia nell’intervento militare della NATO dopo numerosi tentativi di mediazione della Comunità Internazionale con la Federazione Jugoslava, attraverso negoziati tra le parti in lotta che – quando la pace sembra dietro l’angolo – falliscono per il ritiro della delegazione di Belgrado. E’ il mese di marzo del 1999 quando le forze militari e paramilitari serbe, dotate di armi pesanti innalzano la tensione in Kosovo, costringendo decine di migliaia di kosovari alla fuga dopo una serie di gravi fatti di san- 6 gue. Lasciano la regione anche gli osservatori dell’OSCE, inviati per monitorare la situazione sul campo. La diplomazia statunitense tenta senza successo di convincere il presidente serbo a fermare la crisi, e il 23 marzo iniziano così i raid aerei della NATO sulla Jugoslavia, con l’operazione Allied Force, che dura settantotto giorni e finisce per piegare il regime guidato da Milosevic e a indurlo al ritiro dal Kosovo. Il 10 giugno il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta la risoluzione 1244, con quattordici voti a favore e una sola astensione: vi si fissano i principi per una soluzione politica della crisi, la cessazione delle violenze, il ritiro delle forze jugoslave, la smilitarizzazione di quelle di liberazione del Kosovo e lo schieramento di una presenza internazionale che prevede – sul versante della sicurezza – un ruolo primario per l’Alleanza Atlantica, che lancia subito i preparativi dell’operazione battezzata Joint Guardian, che porteranno appena due giorni dopo alla discesa in campo della Kosovo Force, la KFOR. Il contingente iniziale di KFOR è formato da sei brigate di fanteria, due delle quali a guida britannica, e una ciascuna da Stati Uniti, Francia, Germania e Italia, che mette in campo la Brigata Bersaglieri ‘Garibaldi’ agli ordini del generale Mauro Del Vecchio. Lo spettacolo che si para davanti a tutti i militari della Kosovo Force che si schierano sul territorio è quello di miseria e devastazione. La vita quotidiana è come sospesa. Le linee telefoniche sono inter- 7 rotte, molte strade sono minate, scuole e ospedali fuori uso, i ponti distrutti, radio e televisione mute, anche perché l’energia elettrica è carente così come l’acqua potabile. I generi alimentari scarseggiano, la popolazione rimasta nella regione vive di stenti e nel terrore portato dalla guerra tra l’esercito di Belgrado e quello di liberazione del Kosovo, i cui uomini armati si trovano ancora in circolazione in diverse zone. Ci sono cimiteri di fortuna ovunque, per non parlare delle fosse comuni che vengono presto scoperte in diverse località. La priorità di KFOR è di assicurare subito che non ci siano vuoti di sicurezza e di affermarsi subito come unica forza militare legittima, secondo il dettato della risoluzione ONU 1244, che istituisce anche la missione civile di amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo. Nell’arco di undici giorni – nel quadro di un accordo tecnico militare siglato con Belgrado – l’esercito jugoslavo si ritira completamente, mentre prosegue il non facile processo di smilitarizzazione dell’UCK, sigla con cui viene designato l’esercito di liberazione del Kosovo, di etnia albanese. Il primo comandante di KFOR è il Generale di Corpo d’armata britannico Sir Michael Jackson, il quale stabilisce il proprio Quartier Generale a Pristina, il capoluogo del Kosovo, all’interno di quello che era un esteso centro di studi cinematografici, ribattezzato successivamente Camp Film City, dove ancora oggi si trova il comando dell’operazione NATO. Negoziati tra il Comandante di KFOR ed esponenti dell’Esercito di Liberazione del Kosovo. 8 1999 – L’inizio dell’Operazione NATO in Kosovo Il 12 giugno 6500 militari italiani muovono verso la città di Peja, nel nord-ovest della regione. I mezzi con la bandiera tricolore formano una colonna lunga diversi chilometri che procede gradualmente in un territorio “pericoloso per le mine e per la potenziale ostilità di coloro che non riconoscono l’accordo di pace», ricorderà il generale Del Vecchio. Lungo il percorso si incontrano infatti truppe serbe armate di tutto punto, in ritirata verso nord attraverso villaggi semidistrutti e desolati. Nella zona sotto il controllo italiano risiedono numerose enclave serbe e diversi siti religiosi cristiano ortodossi (tra cui l’importante Monastero di Decane), aree a rischio che occorre proteggere da ritorsioni violente. “Protection for all” titola, non a caso, uno dei primi numeri della KFOR Chronicle, il giornale della missione, indicando una delle priorità per i contingenti della NATO, che raggiungono intanto quota 40 mila soldati, forniti da 39 nazioni, compresa la Russia. Un altro aspetto urgente, oltre a quello della sicurezza – assicurata da centinaia di pattuglie che percorrono in lungo e in largo le strade del Kosovo -, è quello del rientro del milione di persone che si erano rifugiate nei Paesi confinanti, perlopiù in Albania. Durante la campagna aerea, nel Paese delle Aquile la NATO aveva schierato nei pressi del porto di Durazzo un contingente fornito dall’Italia (con gli Alpini della Brigata ‘Taurinense’), denominato AFOR e avente il compito di sostenere le autorità di Tirana nell’affrontare l’emergenza causata dalla fuga di massa dal conflitto scoppiato in Kosovo, oltre che nella gestione degli ingenti aiuti provenienti via mare da tutta l’Europa. Nelle prime settimane di operazione di KFOR saranno 750.000 i rifugiati che faranno ritorno a casa, imponendo alle forze sul campo uno sforzo notevole per ciò che riguarda l’assistenza e la scorta dei convogli umanitari. La Brigata Multinazionale Ovest guidata dall’Italia e di stanza a Peja (di cui fanno parte anche forze di altri Paesi) diventa presto una presenza rassicurante sul territorio grazie all’intensa attività di pattugliamento armato condotta giorno e notte, che porta – non senza sporadiche tensioni – al sequestro di centinaia di armi e alla 9 neutralizzazione di un ingente quantitativo di ordigni. I militari dell’Esercito usano subito e bene anche l’arma del dialogo parallelo con le due etnie, conquistandosi la fiducia e il rispetto di tutta la popolazione provata dal conflitto. Questa non viene solo protetta ma anche aiutata concretamente grazie a decine di progetti di assistenza e donazioni di generi di prima necessità, secondo un atteggiamento positivo e imparziale, frutto di una tradizione culturale e di una formazione specifica delle nostre Forze Armate. Decine di monumenti di interesse storico e culturale vengono messi in sicurezza. Gli specialisti della Cooperazione Civile-Militare iniziano rapidamente la riabilitazione di strade, scuole e ambulatori in tutta l’area di operazioni italiana. Il Genio ferrovieri nei primi mesi della missione lavora al ripristino della linea ferroviaria che collega Kosovo Polje al nord della provincia, consentendo il movimento di migliaia di persone e di tonnellate di merci, mentre a Gjakova gli specialisti dell’Aeronautica Militare realizzano un aeroporto. Nel nord del Koso- 10 vo, zona ad alta tensione per la presenza di una folta comunità serba, iniziano poi ad operare i Carabinieri della Multinational Specialized Unit, costituita in seguito all’esperienza positiva maturata sul campo nell’altro post-conflitto balcanico, in Bosnia-Erzegovina. Pochi mesi dopo l’intervento della NATO, il Kosovo ha dunque già decisamente voltato pagina. Ma di pagine ne restano da scrivere molte, perché il processo di normalizzazione politica, sociale ed economica è inevitabilmente lungo e complicato. Oggi, nonostante una serie di alti e bassi – con il riconoscimento (anche se solo parziale) dell’indipendenza e diverse questioni insolute con la Serbia che periodicamente riemergono – sono stati conseguiti non pochi progressi in termini di sviluppo economico e verso la democrazia e il dialogo, con l’assistenza della Comunità Internazionale. In una regione uscita vent’anni fa dalla guerra, il futuro appartiene innanzitutto alla nutrita generazione dei millennials kosovari, che non ha conosciuto direttamente la violenza del conflitto e che è proiettata verso un’aspettativa di pace e prosperità. Un’aspettativa condivisa dalla NATO e da KFOR, che – a vent’anni di distanza, con una presenza sul campo ridotta grazie ai progressi registrati sul fronte della sicurezza e dello sviluppo delle capacità locali – prosegue sotto la leadership dell’Italia il proprio durevole impegno nel campo della sicurezza per la stabilità della regione, seguendo il consueto approccio coordinato e integrato con tutti gli attori presenti sulla scena.

 

Fonte: difesa.it/