Operazione “Winter Harvest”
Libero dal proprio bavaglio, e poco prima di essere estratto dalla zona d’ operazioni, Dozier, rivolgendosi agli uomini del N.O.C.S. esclama: “Wonderful!”
Quella mattina del 17 Dicembre del 1981 era iniziata per il Generale dello U.S. Army James Lee Dozier, come una delle tante. Sveglia di buon’ ora, colazione, doccia e poi via verso il lavoro. Generale di Brigata, 50 anni, laureato all’ accademia militare di West Point, tra il ’68 ed il ’69 Dozier serve in Vietnam, combattendo con l’ 11° reggimento cavalleria. Successivamente servira’ nei Rangers dello U.S. Army. Seconda piu’ alta carica militare statunitense nell’ Europa meridionale all’ epoca, a partire dal Giugno 1980 Dozier è vice capo di Stato Maggiore del Comando delle Forze Terrestri N.A.T.O. in Sud Europa, coordinando le operazioni dell’ esercito italiano dall’ Appennino fino al confine con la Jugoslavia. Verso le ore 18:00, quattro uomini travestiti da idraulici si presentano alla porta di casa Dozier e aggrediscono il Generale, colpendolo alla testa con il calcio di una pistola, lo chiudono in un baule e lo portano via a bordo di un furgone, non prima di aver legato la moglie. Come si scoprira’ piu’ tardi, a supportare l’ operazione furono altri altri quattro elementi a bordo di automobili. Il sequestro viene ben presto rivendicato dalla colonna veneta delle Brigate Rosse, guidata da Antonio Savasta.
Il motivo del rapimento di Dozier e’ collegato alla presenza della base missilistica N.A.T.O. a Vicenza, come spiega Luigi Novelli, ex brigatista romano: “Si individua nell’ installazione dei missili americani nel nostro Paese un terreno nuovo di lotta di classe. In questo quadro maturò l’idea di rapire un militare americano, inizialmente non si pose in essere la scelta di un generale anziché di un colonnello… Savasta ci portò nella casa di Via Verdi a Milano le trascrizioni dell’ interrogatorio di Dozier. Una sorta di racconto che lui faceva della sua carriera militare. Noi cercavamo nelle nostre domande di far emergere dei collegamenti tra la presenza Nato in Italia e l’ antiguerriglia.” Interessantissima, a nostro avviso, la preoccupazione manifestata dai brigatisti per la presenza delle forze N.A.T.O. in Italia (in particolare statunitensi), in quanto queste avrebbero certamente rappresentato una minaccia qualora il tanto agoniato piano per un colpo di stato rivoluzionario marxista, o l’ invasione delle forze del Patto di Varsavia attraverso il confine orientale italiano, si fosse realizzata. In quel caso, forze speciali americane e uomini della struttura “Gladio” di Stay Behind, avrebbero in un primo momento operato con funzioni antiguerriglia, per poi passare ad un vero e proprio piano di sabotaggio delle azioni delle forze nemiche, qualora queste si fossero impadronite del Paese. Le Brigate Rosse si opponevano inoltre al dispiegamento di missili americani Pershing e Cruise nelle basi siciliane di Comiso e Sigonella, quale risposta allo schieramento dei missili di teatro sovietici SS 20. Non e’ quindi azzardato ipotizzare il coinvolgimento dei servizi segreti sovietici nella direzione delle azioni delle Brigate Rosse in quegli anni, anche grazie all’ aiuto di personaggi politici della galassia comunista tutt’ora in vita.
Ritornando al sequestro, il Generale viene trasportato in una “prigione del popolo” ubicata all’ interno di un appartamento in via Pindemonte, a Padova, dove e’ tenuto nell’ oscurita’ all’ interno di una tenda. I sequestartori gli coprono le orecchie con delle cuffiette collegate ad un walkman, che suona musica rock ad alto volume per disorientarlo e non permettergli di udire le loro conversazioni (Dozier riportera’ in seguito danni permanenti all’ udito). Il piede sinistro del Generale e la sua mano destra sono incatenati al palo centrale della tenda. Le tapparelle della stanza dove e’ tenuto prigioniero sono chiuse e nella tenda e’ costantemente accesa una lampadina da 40 watt, onde non consentirgli di distinguere il giorno dalla notte.
Come ci si puo’ facilmente aspettare, il sequestro Dozier diviene immediatamente un caso internazionale, tanto che lo Stato italiano decide di impiegare i suoi investigatori migliori, all’ epoca Gaspare De Francisci e Umberto Improta, rispettivamente capo e vice capo dell’ U.C.I.G.O.S. (Ufficio Centrale per le Investigazioni Generali e per le Operazioni Speciali) e Salvatore Genova. Ricorda Improta: “Capii immediatamente che occorreva un’ articolazione investigativa complessa da estendere non solo sul territorio veronese, ma anche in altre città dove si supponeva potesse avere base la cosiddetta direzione strategica. Indubbiamente per sequestrare una persona in una città ci deve essere almeno un basista locale. Quindi per noi era necessario controllare tutti coloro i quali erano sospettati di appartenere alle BR, perchè in un modo o nell’altro, a mio avviso, o da fiancheggiatore o da supporto avevano dato un contributo alla riuscita di questo sequestro”. Seimila agenti sono dispiegati su tutto il territorio nazionale. Vengono organizzati posti di blocco ed effettuate perquisizioni per individuare basisti e fiancheggiatori anche in altre citta’. Si noti anche come durante il sequestro i terroristi cercarono di prendere contatti con i servizi segreti bulgari, allora braccio armato ed intermediario del KGB sovietico, evidentemente interessato a notizie riservate eventualmente ottenute dagli interrogatori di Dozier. Quest’ ultimo si dimostra pero’ un osso duro, non rivelando mai alcuna informazione riservata della quale fosse stato eventualmente a conoscenza.
Il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, insieme al Vice Presidente George Bush, inviano intanto in Italia sei membri della Counter-Terrorist Joint Task Force (in realta’ operatori della sezione intelligence del 1st S.F.O.D.-D.) e del Federal Bureau of Investigation (F.B.I.). Specialisti vengono inviati da Bonn e dalla Gran Bretagna (si tratta molto probabimente di operatori del G.S.G.9 e dello S.A.S.) con compiti di consulenza. Le autorita’ italiane si affidano pero’ solo alla consulenza di specialisti statunitensi nelle intercettazioni, vietando ad unita’ straniere qualsiasi tipo di intervento, per ovvi motivi di sovranita’. Le indagini portano a dozzine di arresti ed al rinvenimento di armi ed esplosivi. Sepolte sotto un metro di terra sulle montagne a venti chilometri a nord di Treviso, gli investigatori rinvengono quattro casse contenenti mitragliatrici leggere, R.P.G. (Rocket Propelled Grenades), bombe a mano, fucili a pompa, migliaia di munizioni, esplosivi e detonatori. Il 4 Gennaio 1982, a piazza di Spagna (Roma), agenti in borghese fermano due uomini pesantemente armati a bordo di una macchina. Si tratta di Stefano Petrella ed Ennio di Rocco. La coppia era forse in procinto di compiere un ‘azione. Il 9 Gennaio la Polizia arresta Giovanni Sezani, ex professore universitario e leader di una delle colonne delle Brigate Rosse. In casa sua sara’ ritrovato un vero e proprio arsenale. Altri cinque uomini vengono successivamente catturati nelle campagne a nord di Roma, a seguito delle indagini sull’ omicidio di due poliziotti avvenuto nel corso di una rapina a Siena. Infine, grazie a fonti investigative, si arriva ad individuare la prigione di Dozier in un appartamento ubicato in Via Pindemonte, Padova.
Nel mentre, con il comunicato nr. 3 del 6 gennaio 1982, le Brigate Rosse rendono noto il motivo del rapimento di Dozier: “Attraverso di te processiamo la struttura di occupazione militare, la NATO, e la politica imperialista dell’ America nei confronti del proletariato italiano. Questa politica si è estesa dal 1945 ad oggi. Ha permesso agli USA, sotto il ricatto delle armi, prima con l’esercito di occupazione italiano, poi con l’ esercito integrato della NATO, di costruire un ceto politico-militare completamente subordinato agli interessi delle multinazionali USA. La storia di questi governi è la storia del terrorismo di Stato, costruito dalla CIA. Dal piano Marshall all’ asservimento alla politica di Reagan con i missili di Comiso, significa tracciare la storia dell’ asservimento dei capitali italiani e di un ceto politico che nonostante la dimostrata delegittimazione politica e sociale, rimane in piedi solo grazie al terrore dei corpi speciali addestrati dagli americani e alla politica economica delle multinazionali USA.”
A prigione individuata, vengono valutate tutte le opzioni a disposizione. L’ unita’ tattica dell’ U.C.I.G.O.S., il Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza (N.O.C.S.) della Polizia di Stato, avra’ il delicatissimo compito di intervenire per liberare Dozier. Viene imediatamente eliminata la possibilita’ di un irruzione notturna, per il timore che la scarsa visibilita’ porti gli agenti a colpire erroneamente l’ ostaggio. Anche un attacco all’ alba viene scartato, poiche’ i terroristi potrebbero rendersi conto dell’ improvviso aumento di persone nelle vie circostanti. Si decide quindi di intervenire in pieno giorno, sfruttando l’ attivita’ in strada come copertura. Nella tarda mattinata del 28 Gennaio 1982, scatta il blitz. Intorno alle 11:30, agenti della Polizia di Stato in abiti civili fanno evacuare discretamente tutti gli uffici nella zona intorno all’ edificio obiettivo. Al pian terreno dello stabile si trova anche un supermercato. Due poliziotti in abiti civili entrano nell’ esercizio commerciale ed impediscono a chiunque di uscire. Si vuole evitare che eventuali proiettili vaganti possano colpire i civili, nel caso di un conflitto a fuoco. Nel mentre vengono accesi i motori dei macchinari in uso in un vicino cantiere, onde creare piu’ rumore possibile e coprire l’ avvicinamento degli operatori. A questo punto la strada e’ completamente coperta da agenti in borghese.
Poco dopo le 11:30, un furgone bianco arriva in via Pindemonte. Ne fuoriescono dodici operatori del N.O.C.S. vestiti con tute da operai, sotto le quali celano giubbetti antiproiettile. Gli agenti entrano all’ interno dell’ edificio obiettivo, salendo le scale fino alla porta dell’ appartamento dove e’ tenuto prigioniero Dozier, indossano i passamontagna, estraggono le loro Beretta M-12 e si preparano all’ attacco. Alle 11:36, uno degli agenti abbatte la porta d’ entrata e gli operatori iniziano a saturare l’ ambiente. Non appena nel corridoio, gli agenti si trovano dinnanzi a Cesare Di Leonardo (che nel 2002 farà parte del gruppetto di militanti delle Br-Pcc che in carcere inneggeranno all’ uccisione del giuslavorista Marco Biagi), da poco tornato dal supermercato al pian terreno. Il terrorista viene immediatamente neutralizzato con un colpo di karate. Dozier e’ nella prima stanza a destra, sorvegliato da quattro terroristi (Antonio Savasta, la sua compagna Emilia Libera, l’ intestataria dell’ appartamento Emanuela Frascella, e Giovanni Ciucci) uno dei quali, non appena resosi conto di quanto in corso, punta una pistola silenziata alla testa del Generale. Ma il criminale non fa in tempo a portare a compimento il suo proposito omicida, dato che viene colpito alla nuca con il calcio di una pistola mitragliatrice Beretta M-12 in dotazione ad uno degli agenti. Gli altri tre terroristi si arrendono immediatamente e senza opporre resistenza. L’ operazione termina in meno di novanta secondi. Libero dal proprio bavaglio, e poco prima di essere estratto dalla zona d’ operazioni, Dozier, rivolgendosi agli agenti esclama: “Wonderful!”. Sara’ una dimostrazione di ammirazione che restera’ famosa nella storia del reparto, e che ricorre costantemente ancora oggi, ogni qual volta la stampa straniera si trovi ad occuparsi del N.O.C.S. od accenni all’ episodio in questione. Ad operazione conclusa, alcuni agenti in borghese resteranno in posizione in via Pindemonte, sperando di catturare qualche altro membro del gruppo, ignaro dell’ operazione. Grazie agli interrogatori dei cinque terroristi, ulteriori membri delle Brigate Rosse verranno catturati nei giorni successivi a Verona, Padova e Mestre.
Ad anni dall’ operazione, diverse voci si rincorrono ancora su come si sia effettivamente giunti all’ individuazione della prigione di Dozier. Secondo quanto scritto da un commissario tra i responsabili dell’ operazione, a fornire la soffiata sull’ ubicazione dell’ ostaggio fu un brigatista “irregolare” fermato nel corso di una retata, Ruggero Volinia, autista di quel furgone con a bordo il baule nel quale era racchiuso Dozier e che fornì ai poliziotti l’ indirizzo della “prigione del popolo”, disegnando anche una dettagliata piantina dell’ appartamento. Ma sulla vicenda aleggerebbe anche la presenza degli uomini del misterioso progetto statunitense noto sotto il nome in codice di “Stargate”. Trattasi di un programma segreto volto all’ utilizzo di personale dotato di poteri paranormali ed in grado, attraverso una cosidetta “visione remota” (remote viewing, in inglese), di individuare persone o cose scomparse. Nelle intenzioni del Governo U.S.A., il personale del progetto avrebbe avuto anche il compito di localizzare le testate dell’ arsenale atomico sovietico. Non conosciamo fino a che punto gli uomini di “Stargate” abbiano avuto successo in quest’ utimo compito, ma sappiamo per certo che nel file No. 8125, quello del sequestro Dozier, si legge come uno dei sensitivi, Joe McMoneagle, avesse inviduato otto giorni prima della liberazione la citta’ dove il Generale era tenuto prigioniero. Il sensitivo non riusci’ a fornire l’ indirizzo dell’ appartamento, ma descrisse come Dozier era tenuto incatenato, particolare successivamente confermato dagli uomini del N.O.C.S.
Interessante anche uno dei retroscena della vicenda del sequestro, descritto da Steven Emerson nel suo “Secret Warriors”, secondo il quale Reagan, stanco dell’ inerzia delle forze di polizia italiane, avrebbe inizialmente dato mandato al petroliere texano Henry Ross Perot (fondatore della Electronic Data Systems di Dallas), di assemblare una propria squadra tattica e partire alla volta di Padova per liberare l’ ostaggio. Perot, secondo Emerson, accettò, ma quando il governo italiano venne a conoscenza del piano, si mobilitò immediatamente. Perot era infatti un personaggio dotato di mille risorse. Nel 1979 (nel pieno della rivoluzione in Iran), quando due suoi impiegati vennero presi in ostaggio dai rivoluzionari, egli lancio’ un’ operazione di salvataggio in pieno stile, affidandone il comando ad Arthur “Bull” Simons, ex Colonnello dei Green Berets. Il commando, con Perot al seguito, riusci’ perfettamente nel suo intento (la storia di questa straordinaria operazione puo’ essere letta in “Sulle ali delle aquile” di Ken Follett).
Vero o meno che sia quanto raccontato da Emerson, resta il fatto che gli operatori che presero parte al blitz vennero insigniti della Medaglia d’ Argento dal Governo degli Stati Uniti d’ America, mentre lo stesso Ross Perot donò a ciascuno una pistola Smith&Wesson recante sulla slitta la dedica “For the rescue of Brigadier General Dozier”: “Per il salvataggio del Generale Dozier”.
Fonte: http://corpidelite.net/afm/operazione-winter-harvest/