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L’INDUSTRIA DELLE ARMI NON CONOSCE CRISI

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di Ettore Minniti

La ripartenza non li tange. Non conoscono cosa sia la crisi. Il futuro per loro sembra roseo. La tempesta perfetta dell’emergenza sanitaria del covid-19 non li ha sfiorati nemmeno un po’.

Ai grandi gruppi dell’apparato militare-industriale il Coronavirus non ha fatto alcun danno. Al contrario il loro business è aumentato.

La spesa globale per eserciti e armi, non ha avuto riduzioni significative, e non solo per mantenere in efficienza i vecchi arsenali, ma per costruirne di nuovi, sempre più sofisticati.

Non è un caso che in primavera, piena pandemia, la Marina militare americana sperimentava una nuova bomba laser e il Pentagono mandava in orbita per la sesta volta lo shuttle senza pilota, missione spaziale supersegreta per testare le guerre del futuro, che si combatteranno tra i satelliti di comunicazione e di geolocalizzazione.

In Italia divieti e ristrettezze per tutte le attività produttive, tranne per gli armamenti. All’industria militare è stato riservato un trattamento speciale. Da parte del Governo Conte è stata riconosciuta la valenza strategica e l’importanza “apicale”, per il nostro Paese, dell’industria militare, ed è stato quindi assicurato alle imprese dell’industria della difesa e delle produzioni militari uno status privilegiato. Il Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e il Ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, entrambi ormai praticamente ex, così avevano giustificato tale decisione “è riconosciuta la strategicità e, più in generale, l’apicale importanza, per il nostro Paese, delle imprese operanti nei suddetti settori industriali, imprese la cui attività produttiva, anche in un momento altamente critico come quello che stiamo affrontando, si è comunque deciso di tutelare appieno”.

L’opinione pubblica, in stragrande maggioranza, ritiene che la produzione di armi non è certo strategica, in questo momento, e nemmeno necessaria, perché sono altri i settori dell’economia che davvero garantiscono cura e servizi essenziali per il nostro Paese. In molti ritengono inaccettabile chiedere ai lavoratori un sacrificio così alto per una produzione che, oggi, non ha nulla di strategico ed impellente e costituisce solamente un favore all’industria bellica e al business del commercio di armamenti.

La sanità in Italia, negli ultimi 10 anni, ha avuto un decremento di 37 miliardi di euro. La spesa sanitaria negli ultimi anni si è ridotta dal 7% del Pil al 6,5, mentre la spesa militare è cresciuta dall’1,25% del 2006 all’1,43% per il 2020, pari a 26 miliardi.

Le lobby delle armi continuano a fare la voce grossa e sono ascoltate. Un Paese come il nostro, sull’orlo del default finanziario, spende 5,4 miliardi l’anno in nuovi armamenti, solo per gli F-35 quest’anno circa 860 milioni.

In sintesi, in tempi di emergenza da Coronavirus, mentre sul piano della salute e della sanità globale si continua a navigare a vista, senza radar o meta, in un mare in burrasca, compreso il piano vaccinale, la produzione militare, dai mitragliatori alle bombe, dai Mangusta ai cacciabombardieri F-35 è stata ed è considerata strategica, indispensabile per il nostro Paese. Se sul piano sanitario aumentano le disuguaglianze tra Paesi ricchi e Paesi poveri, su quello della sicurezza presunta del possesso delle armi e del controllo delle future cyberwars, non vi è alcuna incertezza di analisi e di investimenti a livello globale.

La principale azienda industriale italiana, tra le più importanti al mondo, dell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza, la “Leonardo Company”, ha annunciato in pompa magna la propria solidarietà (sic!) per sostenere le istituzioni nazionali nel contenimento dell’epidemia da Covid-19, con l’impiego di due aerei da trasporto con propri equipaggi e tre elicotteri a sostegno della Protezione Civile e a fornire l’utilizzo delle proprie stampanti 3D negli stabilimenti per produrre valvole per respiratori. Davvero un po’ poco per un’industria che in Italia impiega 29.244 addetti ed ha un fatturato di oltre 12 miliardi di euro.

In conclusione, nessun accenno alla riconversione, nemmeno temporanea, della produzione bellica a favore di quella medico-sanitaria.

In Italia ci sono 231 fabbriche di armi comuni e ben 334 aziende sono annoverate nel registro delle imprese a produzione militare. Ce n’è invece solo una in tutta Italia che produce respiratori polmonari, per l’acquisto dei quali dipendiamo dall’estero.

Anche questa è l’Italia che va!