La legislatura che approvò la legge con la quale Vittorio Emanuele II poté adottare il titolo di re d’Italia è conosciuta come VII legislatura, a sottolineare la continuità con quelle del Regno di Sardegna, nonostante in realtà fosse la prima a rappresentanza nazionale.
Il Senato, di nomina regia, aveva sede presso Palazzo Madama ed era presieduto da Ruggero Settimo e, in seguito alla morte di quest’ultimo, da Federico Sclopis, prima, e da Giuseppe Manno poi.
La Camera dei Deputati, che si riuniva in un’aula di Palazzo Carignano, l’edificio dove era nato il re Vittorio Emanuele II, era eletta attraverso un sistema che era stato approvato nell’ottobre del 1860: il diritto di voto era riservato ai cittadini maschi che avessero compiuto 25 anni e pagassero almeno 40 lire d’imposta all’anno, il risultato fu che votò appena il 2% della popolazione italiana. La legge elettorale del 1860 favoriva le classi abbienti del Nord del Paese, emarginando di conseguenza la rappresentanza delle popolazioni del Sud Italia.
Nel marzo del 1861 il suo presidente era Urbano Rattazzi. Quando quest’ultimo divenne presidente del consiglio dei ministri, nel 1862, fu sostituito prima da Sebastiano Tecchio e, poi, da Giovanni Battista Cassinis.
L’aula parlamentare della prima Camera dei Deputati italiana è ancora conservata a Palazzo Carignano, oggi sede del Museo nazionale del Risorgimento. All’interno dell’aula sono chiaramente identificabili i seggi di Gioberti, D’Azeglio, Balbo e di Camillo Benso di Cavour.
L’aula è sormontata da una lapide, sulla quale si possono leggere le parole:
«Quest’aula, dove i rappresentanti del popolo subalpino costantemente cospirarono sotto gli auspici della casa Savoia a preparare l’Unità d’Italia lasciando l’esempio della più grandi unità civili e politiche fu dichiarato monumento nazionale con decreto del 04/03/1898».