Galileo Galilei presenta il cannocchiale al doge Leonardo Donati di Giuseppe Bertini (1858) affresco, cm 491 x 238 custodito presso Biumo di Varese, Villa Ponti, Salone d’onore
Nella ripresa del naturalismo filosofico alla fine del Cinquecento si intravedono le premesse e le prime anticipazioni della svolta determinata nella storia della cultura e della civiltà europea dell’opera di Galileo Galilei. Con lui, lo studio della natura si libera dai presupposti metafisici che lo avevano sempre condizionato e dalla soggezione alla visione aristotelica dell’universo, costruita su schemi puramente logici e adattata dal pensiero cristiano alle affermazioni della Sacra Scrittura. L’importanza della svolta si può cogliere a pieno se si considera che da questa liberazione prese le mosse lo sviluppo della scienza moderna, con tutte le sue conseguenze in ogni campo dell’attività e nel modo di pensare degli uomini. Il principio di “autorità”, secondo il quale era sufficiente il richiamo ad una tradizione ufficiale per comprovare la validità di una affermazione, al di fuori del ragionamento e della concreta esperienza, fu respinto. Sottratta al dominio della teologia e della logica metafisica, la natura fu recuperata all’osservazione scientifica libera da idee preconcette e guidata da un suo proprio metodo.
Non debbono i ministri e professori di quella [teologia] – scrisse Galilei – arrogarsi l’autorità di decretare nelle professioni non esercitate né studiate da loro perché questo sarebbe come se un principe assoluto, conoscendo di poter liberamente comandare e farsi ubbidire, volesse, non essendo egli né medico né architetto, che si medicasse e fabbricasse a modo suo, con grave pericolo della vita dei miseri infermi, e manifesta rovina degli edifizi.
L’importanza di queste affermazioni non si limitava al solo settore della ricerca scientifica, ma comportava una più generale emancipazione della mente umana, una nuova concezione del mondo, che aveva come suo strumento perfetto e “divino” la matematica e come suo oggetto non il libro o la tradizione ma la realtà naturale.
Dopo un primo periodo di insegnamento a Pisa, dal 1591 al 1592, Galilei ottenne la cattedra di matematica nell’università di Padova, dove insegnò fino al 1610. Utilizzando il telescopio, da lui costruito e perfezionato negli ultimi due anni del soggiorno padovano e presentato ufficialmente il 21 agosto 1609 (414 anni fa) al governo veneziano, si servì dei nuovi dati dell’osservazione dei corpi celesti per sviluppare e dimostrare matematicamente l’ipotesi sulla struttura del sistema solare già formulata da Niccolò Copernico. Le sue prime scoperte in questo campo, illustrate nel Sidereus Nuncius, suscitarono critiche da parte delle autorità religiose. Nel 1616 l’Inquisizione condannò la dottrina copernicana e ingiunse al Galilei di astenersi dall’insegnarla e dal trattarla (in quanto contrastante con l’interpretazione letterale di alcuni passi della Sacra Scrittura). Galilei continuò tuttavia a svolgere la sua indagine, con la fiducia che l’evidenza matematica dei suoi risultati avrebbe alla fine convinto le autorità ecclesiastiche. E infatti la sua maggiore opera, il Dialogo dei massimi sistemi, pubblicata nel 1632, ebbe inizialmente l’approvazione ecclesiastica. Ma subito dopo fu intentato contro l’autore un processo: Galilei fu condannato al carcere (poi commutato in una sorta di “confino” ad Arcetri) e al pubblico ripudio delle proprie dottrine.
La condanna non arrestò la diffusione del nuovo metodo scientifico. Al di là della stessa influenza diretta dell’insegnamento galileiano, che fu vastissima, la rivoluzione scientifica veniva maturando anche in altri settori e ambienti della cultura europea. Altri scienziati e pensatori, a lui contemporanei, come l’inglese Francesco Bacone e il tedesco Giovanni Keplero, si ponevano gli stessi problemi di metodo. Nello stesso tempo la nuova filosofia naturale aveva aperto la via alla ricerca concreta e quindi alla fondazione delle diverse branche della scienza. In Italia, i nuovi gruppi di scienziati si organizzarono nell’Accademia dei Lincei, della quale anche Galilei fece parte; sorsero poi l’Accademia fiorentina del Cimento e quella napoletana degli Investigatori.
Un contributo di eccezionale importanza allo sviluppo di una nuova forma mentis e alla generalizzazione del metodo scientifico a tutti i campi del sapere (comprese le scienze umane) venne dal filosofo francese Renato Cartesio (1596-1650). Anch’egli era scienziato, matematico e fisico; ma il suo nome, più che ad importanti scoperte nel campo dell’ottica, della meccanica e della matematica, è legato alla teoria generale esposta nel Discorso sul metodo (1637), dove il rifiuto dell’autorità e del dogmatismo diventa il presupposto di ogni attività del pensiero.
Fonte: https://nicedie.eu/