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15 marzo 2011. Inizia la guerra civile in Siria

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di redazione

La guerra civile siriana ha una data d’inizio nel 15 marzo 2011, quando a Damasco, la capitale Damasco e a Daraa, città del sud del paese, scoppiò una forte ondata di proteste per l’arresto di un gruppo di giovani colto dalla polizia mentre dipingevano sui muri graffiti contro il presidente Bashar al-Assad.

Le proteste ben presto diventarono violenti scontri con la polizia, una fiammata che, dopo le preghiere del venerdì, il 18 marzo, culminò nell’uccisione di alcuni dimostranti.

Domenica 20 marzo palazzi e uffici pubblici di damasco furono presi d’assalto dalla folla, che appiccò anche incendi. La reazione della polizia fu di una violanza inaudita: 15 persone rimasero morte sul terreno.

Sembrava che lo scoppio delle proteste, soprattutto da parte dei giovani siriani, si inquadrasse nel fermento generale della “primavera araba” di quegli anni. Ma non fu così, quella settimana di proteste segnò l’inizio di una sanguinosa guerra civile che ancora, dopo dieci anni, è in corso.

Naturalmente individuare la data del 15 marzo come l’inizio ufficiale della guerra civile è opinabile, come tutte le scelte di questo tipo. Infatti già da mesi la Siria era scossa da proteste piuttosto pacifiche, fronteggiate dalle forze di sicurezza in modo prudente.

Dal 15 marzo, però, l’autocrate Assad, con la decisione di interrompere ogni forma di dialogo con i dimostranti e di fare ricorso alla forza bruta, si rese per primo responsabile dello scoppio della guerra civile.

Le richieste del movimento pro-democrazia, non erano per nulle estremiste, ma la violenza repressiva fornì agli estremisti islamici l’ occasione per impugnare le armi e prendere in mano la rivolta, fornendo i due terzi dei combattenti contro il regime di Assad, il quale fu ridotto in pochi mesi a controllare non più del 40% della Siria.

Sulla pelle dei siriani, come poi degli iracheni, da dieci anni si confrontano gli interessi delle nazioni confinanti, Turchia, Arabia Saudita e Qatar, che hanno armato e foraggiato gli estremisti, favorendola penetrazione dell’Isis, che arrivò a controllare metà della Siria e un terzo dell’Iraq.

Il popolo siriano ha pagato un tremendo tributo di sangue. Assad ha resistito fino ad oggi al potere grazie all’appoggio della Russia di Putin.

L’esplodere, da quel 15 marzo del 2011, della crisi sirianaattirò da subito l’attenzione della comunità internazionale, in particolar modo delle potenze occidentali, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, che hanno richiesto a più riprese l’intervento del Consiglio di Sicurezza ONU, incontrando sempre il veto della Russia e della Cina.

Il pragmatico sostegno, politico e materiale, di Putin al governo baathista del presidente Assad si è tradotto in un efficace scudo diplomatico per garantire gli interessi russi nell’area, che sono antitetici a quelli occidentali.

L’ aspetto più inquietante è che ancora non si vede alcuna prospettiva di composizione pacifica del conflitto. Il regime di Assad è fermamente in sella.

È risuonato forte l’appello rivolto da Papa Francesco, dopo l’Angelus di ieri, domenica 14 marzo, “alle parti in conflitto” in Siria, perché “manifestino segni di buona volontà, così che possa aprirsi uno squarcio di speranza per la popolazione stremata”.

Il Papa ha anche espresso l’auspicio di “un deciso e rinnovato impegno costruttivo e solidale della comunità internazionale”, in modo che “deposte le armi, si possa ricucire il tessuto sociale e avviare la ricostruzione e la ripresa economica”.