di Antonino Gulisano
Il 14 maggio 1948 entrò in vigore la Risoluzione e fu proclamato lo Stato indipendente di Israele, guidato dall’ex capo della Jewish Agency, David Ben-Gurion. Contestualmente, quel giorno iniziò il ritiro delle truppe britanniche dal territorio del nuovo Stato, immediatamente riconosciuto da USA e URSS.
L’attuale scontro a Gerusalemme tra Israele e Palestina ha radici storiche antiche e molto complesse. Comunque, un dato di fatto spesso all’ordine del giorno è che a periodi alterni si riaccendono guerriglie e scontri che destano l’interesse mondiale.
In particolare, l’ultimo scontro tra palestinesi e israeliani ha portato a un’altissima tensione in tutta l’area e agli occhi del mondo puntati in massa sul conflitto attualmente in corso.
Se lo scontro tra Palestina e Israele è storia antica che risale alla fine del diciannovesimo secolo, i perché dell’ultimo scontro avvenuto a Gerusalemme possono essere ricercati nella dinamica degli eventi recenti che interessano le due parti.
Il “casus belli” dell’ultimo violento scontro sembrerebbe quindi non contemplare direttamente il confine tra est ed ovest (fattore comunque sempre presente): ciò che ha scatenato la guerriglia è stato questa volta la protesta per gli sfratti di decine di famiglie palestinesi dalle proprie case che sarebbero stati programmati sempre basandosi sul principio storico di lotta tra i due popoli.
Ripercorriamo parte dello Storico conflitto tra Israele e Palestina.
Il 29 settembre 1947, viene posto fine al mandato inglese e decisa la spartizione della Palestina in due Stati, uno arabo e uno ebraico. Il 14 maggio del 1948 nasce ufficialmente lo stato di Israele. Subito, tra arabi e israeliani è guerra. Lo stato di Israele viene accettato dalle Nazioni Unite come 59° membro.
Dopo la fine del conflitto, gli inglesi sostennero la nascita di un territorio ebraico in Palestina, terra di dissidi e divisioni, per continuare la sua antica politica estera di controllo basata sul concetto del “divide et impera”. Avevano già avuto ampio modo di perpetrarla in India dove alimentavano le diatribe tra le tribù che combattendosi l’una contro l’altra semplificavano il governo e il dominio dei britannici.
Un maggiore controllo del Medio Oriente, di matrice britannica, fu possibile a cominciare dal 1920, quando si stipulò un trattato di pace con l’Impero ottomano il 10 agosto 1920 presso la città francese di Sèvres. Con il Trattato di Sèvres il Regno Unito acquisì l’Iraq, la Transgiordania e la Palestina. Tutti questi Paesi, da quel momento, furono soggetti al controllo tramite dei Mandati trasmessi dalla Società delle Nazioni.
Nonostante il pensiero democratico di fondo, basato anche sul principio di autodeterminazione tanto voluto da Woodrow Wilson, i Mandati erano per lo più visti come delle colonie “de facto”. Vennero poi divisi in tre diversi gruppi a seconda del livello di sviluppo conseguito da ciascuna popolazione locale.
Il primo gruppo, o anche mandati di classe A, era costituito dalle aree prima controllate dall’Impero ottomano che si riteneva avessero «raggiunto uno stadio di sviluppo in cui la loro esistenza come Nazioni indipendenti poteva essere riconosciuta» (Iraq, Palestina e Siria);
Il secondo gruppo, detti anche mandati di classe B, era formato da tutti i precedenti Schutzgebiete (territori tedeschi) nelle regioni sub-sahariane dell’Africa centro-occidentale, che si riteneva richiedessero un maggiore livello di controllo da parte della potenza mandataria (Ruanda, Tanzania);
Un ultimo gruppo, i mandati di classe C, che includeva l’Africa sud-occidentale e alcune isole del Pacifico meridionale, furono considerati da amministrare «secondo le leggi della Potenza mandataria come parte integrante del suo territorio».
Il primo mandato fu consegnato all’Impero Britannico il 24 luglio 1922 per il controllo sulla Palestina. Nel periodo in cui questo mandato divenne efficace l’immigrazione ebraica nella zona subì una netta accelerazione. Questa forte immigrazione, in una terra dalle risorse limitate, portò a numerosi scontri tra la maggioranza araba e i coloni, scontri che colpirono anche insediamenti ebraici. Questi episodi aprirono un’altra crisi all’interno della comunità ebraica emigrante che portò alla nascita del movimento noto con il nome di territorialismo, ovverosia il movimento politico ebraico che reclamava la creazione di un territorio (o di territori) sufficientemente grande per accoglierli, non necessariamente in Palestina.
La storia della Palestina fu da quel momento in poi caratterizzata da divisioni, discordie, da episodi di violenza e di reciproca intolleranza. Queste drammatiche tensioni sfociarono in diverse rivolte. Nel biennio 1920-21 gli arabi cominciarono a manifestare il proprio dissenso, non solo per il problema dell’occupazione territoriale, ma soprattutto per la presenza religiosa sciita. La maggior parte del mondo islamico, infatti, era ed è di fede sunnita, e si differenzia dalla comunità sciita per la questione della successione alla guida della comunità islamica: i sunniti erano convinti che alla propria guida potesse accedere un qualunque musulmano, purché dotato di buona moralità, di sufficiente dottrina e sano di corpo e di mente; gli sciiti, invece, pretendevano che la guida della comunità islamica dovesse essere riservata alla discendenza del profeta.
L’arrivo degli USA in Medio Oriente e la Risoluzione 181
Alla fine del secondo conflitto mondiale un nuovo attore occidentale entrò a far parte della storia del medio oriente: gli Stati Uniti. I motivi erano sostanzialmente tre:
– La politica del contenimento sovietico all’interno della Guerra fredda
– La questione della nascita dello Stato di Israele
– I giacimenti di petrolio presenti nell’area geografica
Gli Stati Uniti si ritrovarono dunque all’interno della commissione per la risoluzione del problema della ripartizione della Palestina.
In realtà, un primo tentativo statunitense di normalizzare la situazione geopolitica mediorientale c’era già stato alla fine del primo conflitto, nel 1919, quando una commissione d’inchiesta del governo statunitense stabilì che il Medio Oriente non era pronto per l’indipendenza e raccomandò che venissero stabiliti su quei territori dei mandati il cui scopo era accompagnare un processo di transizione verso per l’autodeterminazione, così come voleva Woodrow Wilson nei suoi 14 punti. Il nome di questa commissione era King-Crane dai nomi dei due politici e teologi statunitensi che ne fecero parte.
Nel febbraio 1947, il governo di Sua Maestà, guidato da Clement Attlee, non essendo più in grado di mantenere l’ordine in Palestina, decise di rimettere il mandato britannico alle Nazioni Unite.
L’ONU considerò due opzioni. La prima era la creazione di uno Stato ebraico e di uno Stato arabo indipendenti, con la città di Gerusalemme posta sotto controllo internazionale (sulla falsariga del piano di spartizione proposto nel 1937 dalla Commissione Peel). La seconda consisteva nella creazione di un unico Stato, di tipo federale, che avrebbe compreso sia uno Stato ebraico, sia uno Stato arabo. Era la Risoluzione 181.
La gran maggioranza degli arabi che vivevano in Palestina e la totalità degli Stati arabi già indipendenti respinsero il Piano. Da principio essi rifiutarono qualsiasi divisione della Palestina mandataria, e reclamarono il paese intero. La maggioranza degli ebrei di Palestina accettò la partizione poiché si rallegrò tuttavia del fatto che si sarebbe ottenuta la nascita di un loro Stato indipendente. Si giunse, però, alla conclusione che era «manifestamente impossibile» giungere ad un accordo, in quanto le posizioni di entrambi i gruppi erano incompatibili, ma che era anche «indifendibile» accettare di appoggiare solo una delle due posizioni. Dopodiché fu la guerra.
All’annuncio della risoluzione, accanto alla gioia della popolazione ebraica, scoppiarono gravi tumulti per la reazione degli Arabi di Palestina. Gli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Iraq e Libano, riuniti nella Lega Araba, invasero il territorio del nuovo Stato dando vita alla prima delle guerre arabo-israeliane.
Malgrado le ancora deboli strutture del proprio esercito, le forze del neonato IDF (Israeli Defense Forces) supportate dalla capacità produttiva di armi e munizioni (oltre all’apporto di mezzi ed aerei importati clandestinamente da Usa e altre nazioni tra il 1946 e il 1947) respinsero quelle nemiche e invasero la penisola del Sinai.
Dopo alcune tregue, Israele si trovò con delle fette di territori in più originariamente spettanti ai Palestinesi (compreso il settore occidentale di Gerusalemme). Nel 1949 arrivò il cessate il fuoco sotto l’egida delle Nazioni Unite, le quali, attraverso la Risoluzione 194, riconosceranno definitivamente i limiti territoriali di Israele, dichiarando fra l’altro che nel contesto di un accordo generale di pace «ai rifugiati che avessero voluto tornare alle proprie case e vivere in pace coi loro vicini, sarebbe stato permesso di farlo». Questa situazione di stallo rimase tale fino alla Guerra dei Sei Giorni del 1967.
Io sono convinto che Israele va difeso, credo nella dolorosa necessità di un esercito efficiente. Ma sono convinto che anche al governo israeliano faccia bene confrontarsi con un appoggio sempre condizionato.
Nel 1948 viene proclamata la nascita dello Stato d’Israele. Subito riconosciuto da USA e URSS.
Gli arabi non ci stanno, si riuniscono nella Lega Araba, e invadono Israele. È l’inizio della prima Guerra Arabo-Israeliana
A seguito del conflitto il territorio di Israele si allarga. Per vent’anni si assiste a una situazione di stallo, poi interrotta dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967
Cos’è la questione palestinese? Storia del conflitto tra arabi e israeliani nato nel 1948 dopo l’occupazione di Israele dei territori palestinese.
Con la fine del secondo conflitto mondiale, gli Stati Uniti si ritrovarono all’interno della commissione per la risoluzione del problema della ripartizione della Palestina. Il loro interesse nel redimere la questione rientrava all’interno delle nuove logiche di politica internazionale, sorte in seno allo scoppio della Guerra fredda, per la volontà britannica di rimettere il mandato britannico alle Nazioni Unite e anche perché la zona era ricca di giacimenti di petrolio.
L’ONU considerò due opzioni. La prima era la creazione di uno Stato ebraico e di uno Stato arabo indipendenti, con la città di Gerusalemme posta sotto controllo internazionale (sulla falsariga del piano di spartizione proposto nel 1937 dalla Commissione Peel). La seconda, chiamata Risoluzione 181, consisteva nella creazione di un unico Stato, di tipo federale, che avrebbe compreso sia uno Stato ebraico, sia uno Stato arabo.
La risoluzione però, invece di preparare la pace, fu la premessa della guerra. La gran maggioranza degli arabi che vivevano in Palestina e la totalità degli Stati arabi già indipendenti respinsero il Piano. Da principio essi rifiutarono qualsiasi divisione della Palestina mandataria, e reclamarono il paese intero.
La questione palestinese ebbe un risvolto sanguinoso fuori dal territorio nazionale in occasione dei giochi olimpici del 1972.
Dopo la Guerra dei sei giorni, il 5 settembre 1972, alle 4 del mattino, otto membri di Settembre nero, un movimento affiliato all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Yasser Arafat, entrarono senza troppe difficoltà nel villaggio olimpico di Monaco di Baviera, città dove si stavano tenendo le Olimpiadi.
Con la fine della prima Intifada nel 1987, la svolta di Arafat in favore di una soluzione pacifica e la sconfitta di Saddam Hussein nella Prima guerra del Golfo resero più facile arrivare alla pace all’inizio degli anni Novanta.
Il 15 novembre 1988 il Consiglio nazionale palestinese proclamava lo Stato di Palestina (con capitale Gerusalemme) e nel dicembre Arafat riconosceva esplicitamente Israele di fronte all’Assemblea generale dell’ONU; entro la metà del 1989 lo Stato di Palestina (del quale Arafat fu eletto presidente) era stato riconosciuto da oltre 90 nazioni.
Il 13 settembre 1993 Arafat firmò sul prato della Casa Bianca la Dichiarazione di princìpi, la quale stabiliva che attraverso numerose tappe in un arco di tempo non superiore ai cinque anni si sarebbe dovuto giungere alla convivenza tra i due popoli in due diversi Stati, in base al principio della restituzione dei territori occupati alla rappresentanza palestinese in cambio della pace.
Nel 1994 nasceva l’Autorità nazionale palestinese. Nello stesso anno venne firmato l’accordo definito Oslo II che prevedeva la creazione di tre aree:
Zona A sotto totale controllo palestinese
Zona B a controllo misto
Zona C sotto controllo israeliano.
Il conflitto tra Israele e Palestina: riassunto
Le trattative non portarono a nessun accordo. Scoppiò anzi la seconda Intifada, che ha bloccato ogni vero sforzo di pace.
Negli ultimi anni, sono ripresi i colloqui tra Israele e Autorità palestinesi. Secondo le anticipazioni della stampa israeliana, lo Stato palestinese provvisorio sorgerebbe intanto sui territori ad est del Muro. Sarebbe però necessaria l’evacuazione di una parte degli insediamenti ebraici. Il tutto attraverso una via di passaggio sicura (ma sotto sovranità israeliana) che sarebbe attiva tra la Cisgiordania e Gaza. Il diritto al ritorno dei profughi sarebbe garantito solo nei Territori palestinesi.
Sono solo ipotesi: la via della pace, nella questione palestinese, appare ancora molto lontana.