di Gianni De Iuliis
Il 12 agosto 1955, a Kilchberg, presso Zurigo, muore per collasso, ottantenne (era nato a Lubecca il 6 giugno 1875 e da tempo soffriva di arteriosclerosi), lo scrittore e saggista tedesco Thomas Mann.
I primi anni dopo la prima guerra mondiale segnano+ la sua definitiva affermazione, fino a diventare il massimo rappresentante della letteratura tedesca.
Nel 1929 vince il Premio Nobel per la letteratura. Il Premio fu assegnato «principalmente per il suo grande romanzo, Buddenbrooks, che ha ottenuto un riconoscimento costantemente crescente come una delle opere classiche della letteratura contemporanea».
Il conferimento del prestigioso Premio Nobel nel 1929 non è stata una sorpresa. Sorprendente, anche per Thomas Mann stesso, è stata invece la sua motivazione che si riferiva quasi esclusivamente al romanzo I Buddenbrook, uscito 28 anni prima, non considerando il romanzo più recente La montagna incantata, da molti ritenuti almeno alla pari del famoso romanzo di esordio.
Il motivo è da cercare nel fatto che il comitato svedese che doveva scegliere il candidato, in particolare l’influente professore di letteratura Fredrik Böök, era di orientamento conservatore e non apprezzava le opinioni liberali e democratiche dello scrittore del 1929. Preferiva il Thomas Mann più conservatore dell’inizio del secolo.
Leggiamo inoltre nella motivazione: «Alla duplice origine da padre tedesco e da madre brasiliana, e all’idea del dissidio tra nord e sud, tra mentalità germanica e sangue latino, tra autorità e libertà, severità morale e libero amore dell’arte, è stata ricondotta anche l’arte del Mann. Però questo schema dialettico ha sì il suo germe nella situazione biografica e familiare, ma ha trovato anche buon terreno nelle condizioni d’inquietudine dell’epoca, e soprattutto in quel processo di accusa agl’ideali e al modo di vivere della borghesia, che già da tempo aveva avuto in Germania i suoi inizî».
Nel primo grande romanzo di Thomas Mann, che fu giudicato subito come un capolavoro e che, sotto alcuni aspetti, rimase insuperabile in confronto alle opere successive, Buddenbrooks (1901), emergono motivi autobiografici e familiari e insieme la tesi che vuol dimostrare la decadenza degli ideali borghesi.
A I Buddenbrook fecero seguito una serie di racconti e novelle, segnati variamente dal tema personale dell’omosessualità irrisolta, tra i quali si ricorda in particolare Tonio Kröger (1903) e La morte a Venezia (1912). Il romanzo La montagna incantata (1924), concepito anch’esso in un primo momento come racconto breve, poi elaborato in un lavoro di più ampio respiro, tratta della formazione umana e spirituale del giovane ingegnere Hans Castorp durante anni di permanenza in un sanatorio sulle Alpi svizzere.
Tra il 1933 e il 1942 Mann pubblicò la tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli, ricca rielaborazione della storia di Giuseppe, tratta dalla Genesi, e considerata uno dei suoi lavori più significativi.
Con il romanzo Carlotta a Weimar del 1939, Mann ritornò al mondo de I dolori del giovane Werther di Goethe, mentre Doctor Faustus, del 1947, narra la storia del compositore Adrian Leverkühn e della corruzione della cultura tedesca negli anni precedenti la seconda guerra mondiale.
Un ultimo grande romanzo, Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull, fu pubblicato incompleto nel 1954 perché rimasto incompiuto alla morte dello scrittore.
Modello fondamentale per Mann fu Goethe che nelle sue opere conciliò la ragione con la fantasia, la vita reale con le esigenze dello spirito. Egli fu anche preciso conoscitore di filosofi e musicisti del suo tempo: Nietzsche, Tolstoj, Freud e Wagner.