di Gianni De Iuliis
Aleksandr Isaevič Solženicyn (11 dicembre 1918 –3 agosto 2008) è stato uno scrittore, filosofo, storico e drammaturgo sovietico di etnia russa. Conservatore, anticomunista e soprattutto antimodernista, con i suoi scritti fece conoscere al mondo la realtà dei gulag, campi di rieducazione per dissidenti del regime, in uno dei quali fu detenuto per molti anni.
Nel 1970 sarà insignito del premio Nobel per la letteratura.
Espulso dall’URSS quattro anni dopo, tornerà al suo paese nel 1994, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica (1991). Nello stesso anno sarà nominato membro del dipartimento di lingua e letteratura dell’Accademia serba delle arti e delle scienze.
Il 9 febbraio del 1945 fu arrestato per aver criticato Stalin in una lettera privata a un amico. Fu condannato a otto anni di campo di lavoro nei gulag e, scontata la pena, all’espulsione dall’Unione Sovietica.
Durante la lunga detenzione sua moglie aveva chiesto e ottenuto il divorzio. Solo e abbandonato da tutti i suoi amici di un tempo, si ammalò di tumore, ma non gli fu diagnosticato e, alla fine dell’anno, andò vicino alla morte. Nel 1954 gli fu permesso di essere curato nell’ospedale di Tashkent. Da quest’esperienza scrisse il romanzo Padiglione cancro e qualche eco c’è anche nel racconto La mano destra. Fu durante questa decade di prigionia ed esilio che Solženicyn abbandonò il marxismo per posizioni filosofiche diverse e per fede religiosa, diventando un convinto cristiano ortodosso; questo cambiamento trova un interessante parallelo in Dostoevskij e nella sua ricerca delle fede durante il periodo di carcere trascorso in Siberia. Tale cambiamento è descritto nell’ultima parte di Arcipelago Gulag.
Sfuggito ad un tentativo di avvelenamento da parte degli organi di sicurezza nel 1968, nel 1970 Solženicyn fu insignito del Premio Nobel per la letteratura. A quel tempo non poté ricevere personalmente il premio a Stoccolma, perché temeva di non poter più ritornare dalla sua famiglia in Unione Sovietica una volta andato in Svezia. Propose di ricevere il premio in una speciale cerimonia all’ambasciata svedese a Mosca. Il governo svedese rifiutò l’offerta poiché tale cerimonia e la conseguente copertura mediatica potevano turbare il governo sovietico e, quindi, le relazioni diplomatiche con la Svezia. Alla fine Solženicyn ricevette il Premio Nobel nel 1974, dopo essere stato espulso dall’Unione Sovietica.
Arcipelago Gulag è un saggio narrativo, fra le più lucide e complete denunce dei campi di concentramento. Oltre alla propria esperienza personale, Solženicyn raccolse le testimonianze di altri 227 ex prigionieri e condusse alcune ricerche sulla storia del sistema penale sovietico. Il saggio tratta delle origini dei gulag all’epoca di Lenin e la vera creazione del regime comunista, descrivendo nei dettagli la vita nei campi di lavoro, gli interrogatori, il trasporto dei prigionieri, le coltivazioni nei campi, le rivolte dei prigionieri e la pratica dell’esilio interno. La pubblicazione del libro in Occidente portò la parola gulag nel vocabolario della politica occidentale.
Solženicyn, a causa della sua popolarità in Occidente, si guadagnò l’inimicizia del regime sovietico. Avrebbe potuto emigrare anche prima dell’espulsione, ma aveva sempre espresso il desiderio di restare nella sua madrepatria e lavorare dal suo interno per cambiarla.
Il 13 febbraio del 1974 Solženicyn fu deportato dall’Unione Sovietica in Germania Ovest e privato della cittadinanza sovietica.
Nel 1990 la cittadinanza russa di Solženicyn fu ripristinata e nel 1994 ritornò in Russia. Solženicyn morì di infarto il 3 agosto 2008, a 89 anni.