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06 novembre 1962 – l’ONU approva l’apartheid

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Di Gianni De Iuliis

L’apartheid era la politica di segregazione razziale istituita nel 1948 dal governo di etnia bianca del Sudafrica e rimasta in vigore fino al 1991. Il suo “iniziatore” è stato Daniel François Malan, che dal 1948 al 1954 fu anche primo ministro.

Fu applicato dal governo sudafricano anche alla Namibia, fino al 1990 amministrata dal Sudafrica. Per estensione il termine è oggi utilizzato per rimarcare qualunque forma di segregazione civile e politica a danno di minoranze, ad opera del governo di uno stato sovrano, sulla base di pregiudizi etnici e sociali.

Negli anni ’60 3,5 milioni di uomini e donne di colore di etnia bantu furono sfrattati con la forza dalle loro case e deportati nei bantustan (territori del Sudafrica e della Namibia assegnati alle etnie nere dal governo sudafricano nell’epoca dell’apartheid). Furono privati di ogni diritto politico e civile e dovevano avere speciali passaporti interni per muoversi nelle zone riservate alle etnie bianche, pena l’arresto.

La filosofia dell’apartheid affermava di voler dare ai vari gruppi razziali la possibilità di condurre il proprio sviluppo sociale in armonia con le proprie tradizioni – teoria dello “sviluppo separato”. In teoria un’applicazione dell’autodeterminazione dei popoli, di fatto separatismo e segregazione razziale.

Oltre che sul razzismo scientifico importato dal colonialismo britannico vi era una componente razzista religiosa di origine calvinista-olandese su cui si basava la giustificazione teologica della separazione delle razze.

In Sudafrica i neri e i meticci coloureds costituivano l’80% circa della popolazione; i bianchi si dividevano in coloni di origine britannica ed afrikaner. Gli afrikaner, che costituivano la maggioranza della popolazione bianca, erano da sempre favorevoli a una politica razzista, mentre i sudafricani di origine inglese, malgrado il sostanziale appoggio dell’apartheid, erano più concilianti nei confronti dei connazionali neri.


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